Tajani auspica un Qe della Bce per contrastare la svalutazione del dollaro. Si tratta, però, di una ricetta inadatta al contesto internazionale
Secondo il ministro degli Esteri Tajani servirebbe un taglio dei tassi della Bce e un nuovo Quantitative easing per contrastare la svalutazione del dollaro. In effetti dall’inizio dell’anno l’euro si è rivalutato contro il dollaro di circa il 15% e questo è un problema per le esportazioni comunitarie.
La rivalutazione dell’euro, o la svalutazione del dollaro, sono un altro dazio per le imprese europee. È da questa constatazione che deriva la richiesta alla Banca centrale europea di “fare qualcosa” per far scendere l’euro e far recuperare competitività alle imprese europee. Questa richiesta deve però essere calata nella realtà di questi mesi e misurata alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni.
Prima ancora di un’analisi è inevitabile una premessa. Si chiede alla Bce una svalutazione competitiva che risolva il problema della competitività europea come se l’euro fosse la lira degli anni ’80. L’Euro è arrivato, almeno così è stato venduto a questa latitudine, per impedire all’Italia la scorciatoia delle svalutazioni e così costringerla a risanare il suo Stato malato e i suoi “problemi strutturali”. Passati trent’anni si tratta l’euro come se fosse la lira e si chiede alla valuta comune di intervenire per sistemare la crisi di competitività.
È una crisi di competitività in cui spicca quella energetica e dentro la crisi energetica l’incapacità europea di costruire rapporti politici con i Paesi produttori. Si potrebbe dire che i vizi dell’Italia della lira sono diventati quelli dell’Europa e non si è avverato, invece, il percorso inverso in cui le virtù dell’Europa dovevano diventare quelle di Roma; con le buone o con le cattive.
Le soluzioni proposte ai problemi europee sono emblematiche di un certo rifiuto di accettare i cambiamenti avvenuti negli ultimi cinque anni che mettono fuorigioco il modello europeo tutto teso a favorire le esportazioni comprimendo la domanda interna. Infatti, nel 2019 il suggerimento di Tajani non avrebbe avuto particolari controindicazioni. Dopo tutto la svalutazione dell’euro è uno, se non il principale, strumento con cui l’Europa si è tirata fuori dalla crisi dei debiti sovrani. Dalla metà del 2014 all’inizio dell’anno successivo l’euro si è svalutato del 30% mettendo le imprese europee nelle condizioni di esportare meglio.
Oggi ci sono almeno due elementi su cui occorrerebbe riflettere. Il primo è che le materie prime non scorrono più abbondanti e fluide in un mondo in cui è sempre tutto a disposizione e il potere contrattuale è del compratore. Questo mondo è finito con la guerra in Ucraina, le tensioni in Medio Oriente che bloccano passaggi cruciali per i commerci globali e da ultimo con una guerra commerciale che ha connotati precisi. Si pensi al fatto che la Cina combatte la sua battaglia stringendo la corda delle forniture di terre rare.
Questo è un mondo in cui bisognerebbe preoccuparsi molto della sicurezza energetica e alimentare e in cui bisognerebbe chiedersi non tanto quello che ci piacerebbe fare, ma cosa si può fare in un’ottica di presidio delle catene di fornitura. Caliamo nella realtà queste riflessioni: l’Europa si può fidare delle forniture di gas americane e di quelle dei pannelli solari cinesi? Oppure, come possibile, esse possono diventare lo strumento di un confronto politico? In questo nuovo mondo trovarsi con una moneta svalutata è sicuramente più rischioso di prima.
C’è poi un secondo elemento. In cima alle preoccupazioni degli investitori c’è la sostenibilità dei debiti pubblici e i timori per una nuova ondata inflattiva che non è minacciata solo dalla “stampa di moneta” ma dall’evoluzione della geopolitica e dalla fragilità dei mercati energetici. L’Europa è già oggi percepita come il soggetto sconfitto dal cambiamento internazionale. Senza un esercito, senza un’identità politica, senza sicurezza energetica e tutta concentrata a esportare a discapito della domanda interna l’Europa ha già perso.
Il suo modello si è dimostrato senza lungimiranza e questo continua con la pretesa di una transizione che l’Europa non controlla e che è soggetta ai cambi di umore della Cina. Il debito preoccupa perché il modello economico europeo dimostra tutta la propria fragilità. In questo mondo svalutare la moneta rischia di innescare una crisi di fiducia sui debiti comunitari che sarebbe molto difficile da controllare. Si fa già fatica a comprare le obbligazioni francesi oggi, a Tokyo o a Londra, senza doversi preoccupare anche del valore dell’euro.
La svalutazione dell’euro come soluzione ai mali dell’Europa è sintomatica della crisi dell’élite europea che si rifiuta di accettare che il mondo è cambiato e che il suo modello economico era un’illusione. Si ostina a comportarsi come se non fosse cambiato niente dopo che è cambiato tutto.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.