La Cina programma il futuro dell’economia. Priorità ai consumi interni. I dazi Usa potrebbero creare condizioni favorevoli a Pechino

I numeri sono quelli di un Paese in salute, con una crescita del PIL del 5%. Ma in Cina, in questo momento, non è tutto oro quello che luccica. Tenendo conto anche della politica aggressiva di Trump sui dazi, il Paese ha bisogno assoluto di far crescere la domanda interna e i consumi, anche se, per farlo, occorre realizzare riforme strutturali. Tutti temi che vengono affrontati nelle Due Sessioni, l’occasione annuale in cui il PCC programma il futuro economico, indicando le linee guida da seguire per lo sviluppo. La priorità deve essere data al mercato interno, anche per evitare che si verifichino altre bolle come quella immobiliare.



Un assist, paradossalmente, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, può venire però proprio dalla politica dei dazi di Trump, che rischia di compattare contro gli Stati Uniti le nazioni colpite dall’aumento delle tariffe, creando spazi di manovra proprio per Pechino e la sua economia.



La Cina si appresta ad affrontare le annuali Due Sessioni, nelle quali il Partito comunista cinese detta le linee della pianificazione economica. Qual è la situazione del Paese che, tra l’altro, è al termine dell’ultimo piano quinquennale varato dal regime?

Le Due Sessioni sono l’appuntamento in cui vengono approvate simbolicamente le leggi e vengono definiti gli obiettivi economici del Paese. Quest’anno si chiude anche il 13esimo piano quinquennale, che puntava sulla tecnologia e sull’innovazione. In realtà, la Cina già nel 2015 ha varato un piano per diventare leader tecnologico in alcuni settori. Da lì, per gli USA ha cominciato a suonare un campanello d’allarme.



Un piano realizzato?

Per quanto riguarda le tecnologie pulite e l’auto elettrica, direi di sì. Forse non si è pienamente realizzato lo sviluppo della robotica. I cinesi, però, sono migliorati molto sul fronte dell’automazione. Questo non significa che la Cina non sia in grave difficoltà.

Gli analisti parlano di una crescita che punta al 5%: come va inquadrato questo obiettivo?

Un obiettivo del 5% vuol dire fissare una crescita sopra il potenziale reale. Questo si tradurrà in un ulteriore aumento dell’indebitamento e in investimenti in cui il rendimento marginale sarà modestissimo. Per raggiungere l’obiettivo, saranno costretti, per l’ennesima volta, a investimenti in infrastrutture. Lo vedo come un dato preoccupante. Vuol dire non rendersi conto della ragione degli squilibri. La Cina non può più permettersi questa crescita quantitativa, deve puntare su una crescita qualitativa, che passa attraverso una riduzione dell’obiettivo di crescita del PIL e una serie di riforme necessarie.

Si parla ormai da tempo della volontà di sostenere le imprese private e di far crescere i consumi interni. Sono queste le priorità?

Sono due macro-obiettivi rilevanti, però non basta fare queste affermazioni per ottenere risultati. Fare in modo che la domanda interna cresca vuol dire impegnarsi in moltissimi interventi. Ad esempio, il sistema sanitario non funziona e richiede spese troppo elevate alle persone, soprattutto con riferimento alle malattie croniche. Significa che la gente deve accantonare risparmi per sostenere i costi relativi alla salute. E poi si risparmia perché si vede un futuro meno positivo rispetto al passato. Bisogna anche mettere le mani sul sistema educativo. Insomma, occorre un insieme di riforme molto significativo. Le imprese private, invece, hanno bisogno di un sistema finanziario che le aiuti, e le banche, già fortemente indebitate, sono sempre meno propense a sostenere progetti imprenditoriali ritenuti a rischio. Ci sono, insomma, obiettivi che hanno bisogno di un quadro di interventi piuttosto ampio, che impatta sui portafogli delle persone e sulla loro percezione del futuro.

Come è possibile far crescere il mercato interno e fare in modo che le famiglie abbiano maggiori disponibilità?

Non è semplice e, per certi versi, l’obiettivo è antitetico a un’impostazione culturale che Xi Jinping ha fatto sua. La Cina è l’unico Paese che ha evitato, dal 2008 in avanti, misure a sostegno delle famiglie e della popolazione. È l’opposto degli Stati Uniti di Biden, che hanno inondato il sistema di liquidità. Una scelta frutto di un impianto culturale per il quale, se si danno soldi al popolo, questo riduce la propria propensione al sacrificio e al lavoro. Quindi è sbagliato dare soldi, perché porta la gente a non lavorare.

Ci sono stati provvedimenti per far crescere i consumi?

Stanno concedendo qualche beneficio, tipo bonus per comprare elettrodomestici o altri prodotti, anche se, in realtà, si tratta di interventi che anticipano la domanda ma non la amplificano. Chi doveva cambiare elettrodomestico lo cambia un po’ prima, ma non acquista altri elettrodomestici che non erano presenti in famiglia.

Perché sta diventando così importante il mercato interno? La Cina finora non ha fatto leva soprattutto sulle esportazioni?

Il sostantivo preferito da Trump è “tariffe”, “dazi”, e questo rende ancora più rilevante avere una domanda interna. La Cina ha realizzato un surplus commerciale di un trilione di dollari nel 2024, gli spazi di diversificazione dell’export non mancano, ma ha assolutamente bisogno di vendere anche nel mercato interno. Sta diventando una priorità davvero ineludibile: questa è la cifra con cui si valuterà, dal punto di vista economico, il supermandato di Xi Jinping. È partito nel 2013 con un’economia in supercrescita, ma progressivamente, per una serie di ragioni, nonostante il PIL al 5%, il motore si è ingolfato. Peraltro, ci sono studi, come quelli di Rhodium Group, secondo i quali il 5% in realtà non si è neanche realizzato, ma siamo tra il 2,5 e il 3%.

Dal punto di vista macroeconomico, quali sono le sfide che la Cina deve affrontare e alle quali andrà data una risposta nell’ambito della Conferenza consultiva politica del popolo e dell’Assemblea nazionale del popolo, partite in queste ore?

Credo che Trump stia facendo un favore alla Cina: puntando sui dazi, sta compattando buona parte del mondo contro gli Stati Uniti. L’Europa, per esempio, comincia a guardare con attenzione alla Cina: l’anno scorso la von der Leyen diceva che era un rivale sistemico, adesso sostiene che bisogna tornare a guardare a Pechino. La Cina, tuttavia, deve giocare bene le proprie carte. Ad esempio, credo che sia abbastanza importante evitare di rimanere esclusa dal negoziato di pace per l’Ucraina. I dazi implicano un cambiamento profondo degli aspetti geopolitici: diventa un tema anche di postura internazionale che gli Stati Uniti stanno assumendo. Penso che, alla fine, i dazi per gli americani saranno molto controproducenti.

Nella sostanza, quale deve essere la priorità per l’economia cinese in questo momento e qual è il rischio che corre?

La vera priorità per la Cina è portare il sistema economico in equilibrio, migliorare la qualità della sua crescita e sostenere la domanda interna. Questa è la priorità ineludibile. Altrimenti, oltre alla bolla immobiliare, possono verificarsi nuove bolle: una finanziaria, ad esempio, legata al fatto che sono stati emessi prodotti assicurativi a tassi di interesse interessanti, ma che adesso i tassi di interesse stanno avendo un picco. Si può verificare una situazione come quella della Silicon Valley Bank, fallita quando, appunto, sono cambiati improvvisamente i tassi di interesse.

(Paolo Rossetti)

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