Se fossi un elettore e, più precisamente, un elettore di centrodestra, questo Natale porterebbe con sé la stella cometa di una domanda: perché dovrei essere soddisfatto di fronte a una prima Finanziaria sovranista che in realtà è stata dettata al 90% da Paolo Gentiloni, quasi fossimo in un paradossale giorno della marmotta politico che ci ha riportati nel 2017? Pensateci. E finiamola anche con l’alibi del caro-bollette e il suo vincolo di spesa, perché se siamo senza alternative energetiche è anche per il no alle trivelle della signora presidente del Consiglio, quando arringava dalle barricate dell’opposizione. La quadra raggiunta attraverso il maxi-emendamento presentato domenica sera in commissione Bilancio dal ministro Giorgetti, al fine di transitare per l’Aula entro il 31 dicembre ed evitare l’esercizio provvisorio, è figlia legittima di linee guida totalmente eterodirette. Insomma, magari la penna che l’ha vergata è italiana. Ma le parole arrivano da Bruxelles. Quasi tutte. Qui ci si è limitati a mischiarle un po’, tanto per non dare nell’occhio.
Sparita la norma sul Pos, ad esempio. E non ridimensionata. Proprio sparita. Dopo la sparata del non obbligo sotto i 60 euro e la tentata mediazione a 30 euro, ecco che l’intera questione viene rinviata a data da destinarsi. Tanto da spingere la presidente del Consiglio a un ci inventeremo qualcosa per sgravare i commercianti dalle commissioni bancarie che appare la classica toppa peggiore del buco. Nemmeno a dirlo, nei suoi rilievi la Commissione Ue aveva reso noto di non gradire quella norma. E le pensioni? I roboanti annunci della campagna elettorale riguardo alle minime da portare a 1.000 euro per tutti? Promesse, appunto. Si arriverà a 600 euro solo per gli over 75, come confermato dal ministro Giorgetti. E solo se si reperiranno le risorse necessarie da qui a pochi giorni. Forse ore. Perché al netto di una narrativa che vorrebbe ogni diatriba interna alla maggioranza risolta in un clima di concordia natalizia, ora inizia il Vietnam delle coperture. Al netto di un 80% della Manovra dettato dall’Europa, il 20% rimanente che fa capo a un Governo che adesso necessita di risorse. Senza le quali, la Ragioneria dello Stato non garantirà la bollinatura. A sua volta necessaria per andare in Aula. L’alternativa? Esercizio provvisorio.
Capite da soli quale colossale pastrocchio ci attende da qui a Natale, una sorta di mercato delle vacche che alternerà tagli lineari per fare cassa a provvedimenti dadaisti per gettare un po’ di fumo negli occhi a quegli elettori che fra meno di due mesi andranno alle urne in Lazio e Lombardia e daranno vita al primo test di gradimento. La riprova? Detto fatto, le mensilità 2023 del Reddito di cittadinanza passano da 8 a 7 e non stupirebbe che almeno un paio fra quelle rimaste in vita vedano una decurtazione progressiva a favore di qualche categoria professionale svantaggiata, magari proprio i commercianti beffati sul Pos. I quali dubito accetteranno di buon grado la panacea inutile e buona per tutte le stagioni del credito d’imposta. E che dire della proroga del superbonus 110% al 31 dicembre, affinché i condomini possano usufruire anche l’anno prossimo di quell’aliquota manipolatrice e sfascia-conti a tutto favore di palazzinari e furbetti del ponteggio?
Certo, il Governo ha dovuto operare in base al principio del danno derivante dai rischi di insolvenze nel comparto dell’edilizia che potrebbe superare di gran lunga quello ai conti pubblici. Almeno nell’immediato. Ma quando nell’arco di tre giorni dal precedente intervento in merito viene annunciato l’ulteriore aumento delle possibili cessioni di crediti a banche o intermediari certificati, le quali sono passate in 72 ore da 2 a 3 e ora addirittura a 5, significa raschiare pericolosamente il barile. Significare accettare il rischio di un suk edilizio con garanzia Sace. Come se il 2008 statunitense non ci avesse insegnato nulla.
E il mitico Pnrr? Finalmente ha mostrato il suo vero volto: nulla più che un gioco a somma zero di fondi comunitari a vincolo rafforzato. Tradotto, condizionalità. Stringenti, oltretutto. Come ha mostrato l’iter da stop-and-go su commissione della Manovra, tutta scadenzata dalle richieste europee di modifica.
In compenso, tanto per salvare la faccia in vista del voto regionale di febbraio, ecco la pantomima della doppia barricata sovranista. La prima contro la decisione della Bce di alzare i tassi e dar vita al Qt da marzo, la seconda contro la ratifica del Mes. Ma chi vogliono prendere in giro? Si sono fatti dettare la Finanziaria dall’Europa e ancora hanno la faccia di vendere la ridicola linea del Piave al Fondo salva-Stati come una coraggiosa opera di resistenza al cappio europeo? La Finanziaria ha mostrato impietosamente come quel cappio non solo sia già al nostro collo, ma alla prima tensione ci ha visto scattare sull’attenti per evitare che l’aria (leggi, lo spread) venisse a mancare. Quando la smetteranno di vendere ai cittadini una realtà che non esiste? Quando il Terzo Polo, di fatto, diverrà soggetto ufficialmente di appoggio esterno, mossa esiziale per ingraziarsi un po’ Bruxelles. E, soprattutto, decisamente precauzionale, visto l’ennesimo sassolino che Silvio Berlusconi ha voluto togliersi dalla scarpa.
Se per caso Attilio Fontana perdesse la Regione, magari a causa di un’emorragia di voti verso Letizia Moratti, preparatevi a un’offensiva forzista di primavera da tramutare il Papeete in una bagatella estiva. Insomma, penso che in qualche modo si arriverà a far emergenzialmente digerire anche il Mes all’elettorato di centrodestra. Il quale, probabilmente, dopo tanti anni di attesa all’opposizione, ha alzato e non di poco la propria soglia di tolleranza. O, forse, ontologicamente accetta in maniera un po’ pavloviana tutto ciò che il capo di turno vende come un successo. C’è un problema, però. Se infatti l’Europa eviterà di crearci problemi, quantomeno fino alla prossima riunione della Bce attesa per inizio febbraio, l’economia reale e il rischio di stagflazione non paiono variabili che si possano gestire in base al piacimento o alle necessità. E l’inversione drastica sulla curva del rendimento 2-10 anni del Bund tedesco registrata venerdì, la più ampia dal 1992, parla molto chiaramente rispetto alla recessione in vista.
Se l’industria tedesca dovesse rallentare e, magari, gli stoccaggi arrivare a un punto tale da richiedere uno stop più drastico per le imprese fino a marzo, cosa accadrebbe a quel Nord Italia produttivo che è, di fatto, fornitore e subfornitore privilegiato e storico di Berlino? Nel caso, quali risorse si potrebbero mettere in campo per tamponare il fallout, fra licenziamenti, cassa integrazione e conseguenti aumenti delle sofferenze bancarie, stante un regime già di credit crunch da tassi in continuo rialzo? Sarà per questo che Umberto Bossi, nonostante età e stato di salute, ha deciso che fosse questo il momento per lanciare il suo Correntone identitario in seno alla Lega? E il ministro Calderoli, silente ma fattivo, si prepara davvero all’ipotesi di scontro frontale sui tempi di attuazione dell’autonomia differenziata? Quali segnali sta inviando il territorio della fu Padania felix che questa Manovra economica non pare minimamente cogliere, quantomeno nel 20% residuale di impostazione non condizionata dall’Europa?
In attesa del Godot collateralista di Calenda e Renzi, la sorpresa arriverà invece dal Senatur? Il volto scuro e tirato del ministro Giorgetti, in tal senso, domenica sera parlava chiaro.
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