Si scorgono segnali poco rassicuranti riguardanti le cartolarizzazioni di prestiti legati al private credit e al credito al consumo

Mentre la Casa Bianca annulla la pubblicazione del dato di inflazione e occupazione di ottobre, apparentemente perché i Democratici hanno danneggiato il sistema statistico federale in maniera irreversibile, conviene tenere sempre d’occhio l’unico comparto che difficilmente riesce a mentire. O, quantomeno, a farlo per troppo tempo. L’obbligazionario. In particolar modo, le cartolarizzazioni di prestiti legati al private credit e al credito al consumo. Di fatto, il vero canarino nella miniera del rischio che starebbe accelerando le grandi manovre in casa Fed rispetto alla ripartenza dell’espansione via Qe dello stato patrimoniale.



E se pensate che l’annullamento del dato Cpi di ottobre abbia a che fare con questa agenda parallela ci avete azzeccato. Il tutto mentre il Tesoro prosegue a tappe forzate le sue emissioni di debito a breve termine al fine di operare un twist con quelle di lunga duration ormai in modalità di incaglio, altrove emergono sempre più segnali di un 2008 sotterraneo che dopo anni di modalità vermone dei Tremors, ora mostra il suo vero, familiare e quotidiano volto da business as usual. E ancora una volta, è stata Ubs a guadagnare il (dis)onore delle cronache al riguardo.



La scorsa settimana, infatti, la banca svizzera ha liquidato due fondi legati a O’Connor per massiccia esposizione su First Brands Group, il fornitore di componentistica auto finito in bancarotta dopo l’esplosione del caso legato alla frode da parte del fondatore, Patrick James. Lo schema era di quelli consolidati. First Brands prendeva veri invoices da clienti come Walmart, li gonfiava fino a 50x (in alcuni casi sono emerse lievitazioni da 180 a 9.000 dollari) e infine utilizzava i falsi invoices come garanzia collaterale per ottenere denaro da banche e case d’investimento.



Fra queste banche, nemmeno a dirlo, emergeva Ubs con i suoi 500 milioni di esposizione. Uno schema Ponzi in piena regola che vedeva quel collaterale riutilizzato più e più volte presso differenti creditori, salvo scoprire che il numero uno dell’azienda spendesse quel denaro in auto, ville e beni di lusso invece che nel business ufficiale.

Attraverso i due fondi di O’Connor, il cavaliere bianco che ha salvato Credit Suisse si era esposto per mezzo miliardo verso questa truffa. Partite le redemptions dopo l’esplosione pubblica del caso First Brands, la decisione di chiudere. Ma il problema resta. Perché esattamente come la Smilla letteraria di Peter Høeg aveva un senso per la neve, Ubs per avere un senso per l’azzardo. Perché i due fondi in questione operavano in base a un business consolidato di invoice factoring, di fatto il medesimo schema che ha garantito fino a oggi la narrativa delle trimestrali record dell’AI.

In base allo schema, chi opera veniva pagato upfront rispetto a invoices che non erano ancora stati liquidati dai clienti. Un po’ come il backlog da primato di Oracle, oggi tramutatosi in un credit default swap a 5 anni altrettanto senza precedenti. Insomma, Ubs esattamente come Jefferies ha operato alla ricerca di alti ritorni per la clientela e per se stessa in quel mondo di ombre e opacità che è appunto il private lending.

E attenzione, perché questi due grafici mostrano da un lato come il tasso di delinquencies legate alle unità di commercial real estate cartolarizzate nelle tranches più rischiose di rating abbia oggi superato addirittura il livello della crisi subprime del 2008, mentre dall’altro come le forche caudine da fallen angels stiano divenendo norma per il credito al consumo e il finanziamento Usa.

In tutti i settori, dall’auto alle carte di credito all’immobiliare, ma, soprattutto e stante le stringenti eliminazioni di politiche di condono da parte dell’Amministrazione Trump, nei confronti dei mutui scolastici. Dopo la mossa elettorale di Joe Biden, una vera e propria Nagasaki di ritardi nei pagamenti oltre la soglia critica dei 90 giorni.

Attenzione quindi a come questa silenziosa ondata di redemptions e loro potenziale blocco possa tramutare un fenomeno apparentemente isolato in un trend ad alto rischio. E alla luce di quanto appena letto, potrebbe far sorridere quanto dichiarato solo il 4 novembre scorso al Financial Times proprio dal presidente di Ubs, Colm Kelleher, a detta del quale insurers seeking better ratings for private credit assets are creating a looming systemic risk to global finance, likening the practice of ratings arbitrage to subprime lending before the 2008 financial crisis.

E questo grafico mostra plasticamente proprio come il fronte assicurativo potrebbe essere il prossimo a ritrovarsi su una sgradevole e scomoda prima linea di esposizione a quello che possiamo ormai definire un consolidato sistema di shadow banking.

A livello sistemico, nulla che possa terremotare. Ma a livello di fiducia sul rischio di controparte e di contagio, il pericolo appare tutt’altro che ignorabile. E lo mostra questo grafico contenuto in uno studio di Morgan Stanley in base al quale le grandi aziende tech Usa devono racimolare oltre 800 miliardi di dollari proprio attraverso accordi fuori bilancio con il private credit entro il 2028.

Anche perché il debito legato all’AI, sempre stando a calcoli della banca, sta crescendo di 100 miliardi a trimestre. E proprio di questi giorni è la notizia della scelta operata da Meta per finanziare il suo data center Hyperion in Lousiana. Ovvero, ingegnerizzare l’emissione obbligazionaria da 30 miliardi attraverso uno special purpose vehicle con Blue Owl Capital che garantisca all’ex Facebook di nascondere fuori bilancio 30 miliardi di debito legato a investimenti AIOff-balance-sheet deal. Molto esotico.

In questo modo e di fatto, Meta mantiene solo il 20% della proprietà, ma, grazie al veicolo, occulta il debito fuori bilancio e, soprattutto, l’intera operazione garantisce un profilo di opportunità a livello di cartolarizzazione. Totalmente investment grade. E totalmente legale, attenzione. Qui di illecito non c’è nulla. C’è però il precedente. Di Enron, ad esempio. O della crisi subprime del 2008. Quando questo tipo di financial engineering era all’ordine del giorno per massaggiare i bilanci come manzi di Kobe.

E poi, il fatto che a gestire l’intera operazione sia la stessa Morgan Stanley che in un report denuncia appunto come l’aumento del debito da investimento in AI tramite private credit raises eyebrows for anyone that has seen credit cycles, non vi pare ironico? O, forse, inquietante.

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