Non c’è che dire, ci voleva davvero il governo dei Migliori per convocare un Consiglio dei ministri che, di fronte a un Paese che implora interventi immediati contro il caro-energia, rimanda tutto a dopo il vertice Ue del 9 settembre e limita la sua risposta a un’informativa del ministro Cingolani, in cui si preannuncia quanto segue: termosifoni con due gradi in meno e accesi due ore in meno. E, in caso di razionamento estremo, diversificazione per aree geografiche. Ovvero, al Sud dove l’inverno è notoriamente più mite, si preparino a qualche grado ulteriore in meno e a meno ore di caloriferi degni di questo nome. Roba da PhD a Yale o Harvard. In realtà, un amministratore di condominio avrebbe fatto di meglio. E più in fretta.
Ma guai a dirlo, noi abbiamo i Migliori. Peccato che, dopo aver eretto altarini a Mario Draghi invece di guardarsi attorno, persino il presidente di Confindustria abbia dovuto scendere a patti con la realtà e ammettere che senza gas russo le imprese italiane andrebbero incontro a una carenza di 4 miliardi di metri cubi. Un qualcosa che renderebbe inutile persino il raggiungimento degli stoccaggi al 90%, perché a quel punto le chiusure diventerebbero automatiche, a catena, come tessere di un mosaico che si staccano a causa di un terremoto. E infatti, Carlo Bonomi ha usato questa metafora: terremoto economico. Un’azienda su cinque non sopravviverebbe allo stop totale al gas russo.
Situazione prevedibile da mesi, però. Perché se, come testimoniano i miei articoli, ci era arrivato un diplomato di liceo scientifico con un anonimo 48/60 come il sottoscritto a capire il carattere sistemico di quanto stava accadendo, i collezionisti di master che albergano a viale dell’Astronomia avrebbero dovuto approntare contromosse e difese a tempo di record. Invece parlavano di inflazione transitoria e unicamente frutto di speculazione. Altri migliori, a modo loro. Che adesso piangono.
E preparatevi, perché ieri a Cernobbio è cominciato il rito laico del Forum Ambrosetti, la Davos dei poveri. E state certi che fra i titolatissimi oratori chiamati a spiegare all’uditorio di incravattati di vario genere e stampo la natura della crisi attuale, non troverete nessuno che avesse preso una clamorosa cantonata su inflazione e sanzioni. Tutti rivendicheranno il tempismo della loro messa in guardia. A volte mi sembra di essere l’unico deficiente che quando sbaglia, lo ammette pubblicamente.
Insomma, se volete andare sul sicuro, agite e pensate esattamente al contrario rispetto a quanto indicato dai cervelloni di Cernobbio. Vedrete che vi troverete bene.
Ma qui da ridere c’è poco. Molto poco. Perché la gente non si rende conto del suicidio collettivo cui stiamo andando incontro. Se ad Amsterdam il prezzo dei futures sul gas europeo si sono dimezzati in tre giorni, a vostro modo di vedere cosa significa? Vogliamo prendere atto della nostra non superiorità morale, per una volta? Se la Russia ci ricatta col gas, noi accettiamo che nel cuore dell’Europa che si sta auto-strangolando con le sanzioni ci sia un’intera comunità di speculatori che usa il potenziale fallimento di migliaia e migliaia di imprese come leverage della loro scommessa sul prezzo del Dutch: intravedete qualcosa di cui andare fieri, per caso?
E anche qui, finiamola con l’ipocrisia: come funzioni la Borsa di Amsterdam lo sanno tutti da sempre, il nodo sta nel fatto che finché il gas russo costava 28 euro a MWh certe scommesse sulla carta non davano fastidio a nessuno. Oggi invece sono mortali. E non ce le sta infliggendo Mosca, stiamo facendo tutto da soli.
Prepariamoci, perché fin quando accetteremo che il ministro degli Esteri Ue sia di fatto un uomo del Dipartimento di Stato Usa in incognito, le cose potranno solo peggiorare. Perché parlare di necessità di addestrare le truppe ucraine direttamente per rendere più efficace la controffensiva partita da Kherson in un momento simile, equivale a girare da soli verso off il rubinetto di Gazprom.
Volete questo? Siete pronti a sacrificare caloriferi e Pil per Kiev? Bravi. Io no. Nemmeno per sogno. E per il semplice fatto che più passa il tempo, più la trappola di Tucidide che sta dietro la questione ucraina emerge plasticamente. Come la strutturalità dell’inflazione creata a tavolino dai Qe perenni combinati con i sussidi a pioggia anti-pandemia e spacciata per transitoria, altrimenti toccava dar vita a tapering e rialzi in tempi che si ritenevano ancora prematuri. Ma per i profitti borsistici di qualcuno.
Chi voterei, se andassi a votare? Avrei un unico discrimine: voterei chiunque mi promettesse, come primo atto, l’invio del presidente del Consiglio a Mosca per sedersi al tavolo del Cremlino e chiarirsi con Vladimir Putin. Voterei chiunque, persino Carlo Calenda, se questa fosse la prospettiva di realismo. Ma non accadrà. Nemmeno se, cosa pressoché impossibile, a Palazzo Chigi andasse Giorgia Meloni, la quale con il passare dei giorni sta operando un maquillage atlantista e normalizzatore da democristiana consumata. In compenso, la totale mancanza di credibilità di tutti i suoi competitor le garantisce comunque un vantaggio siderale nei sondaggi. La logica del meno peggio, insomma. O, quantomeno, della last resort dopo aver provato politicamente di tutto.
Prepariamoci, perché Cernobbio ci regalerà delle perle di propaganda dei Migliori in grado di tramutare Majakovsky in un timido osservatore esterno della rivoluzione bolscevica. Ma quanto deciso – anzi, non deciso – nel Consiglio dei ministri di giovedì resta agli atti: la scusa degli affari correnti è tale non perché faccia comodo l’inazione, bensì perché l’esecutivo ancora in carica è totalmente telecomandato da quell’Europa da cui infatti attende istruzioni dopo i prossimi vertici. Prima, si limita a operazioni di alta ingegneria del termostato. Serviva Mario Draghi per abbassare di un grado o due il riscaldamento? Se sì, meglio dichiarare subito default e sperare in una ristrutturazione non troppo brutale.
Ma attenzione, si attende il vertice del 9 settembre anche per altro. Esattamente per quanto ho descritto nel mio articolo di ieri. Il tetto sul prezzo del gas a livello europeo è già oggi una chimera, lo sanno tutti. E Mario Draghi ha detto no a quello a livello nazionale. Che si fa, quindi? Attendiamo l’esito del voto per dare risposte a famiglie e imprese? Se sì, cosa significa? Forse che a qualcuno fa comodo veder precipitare l’Italia in una crisi che imponga svendite da Banco dei Pegni per restare a galla, prima di attivare il Tpi presso quella Bce pronta ad alzare i tassi?
Non pensiate che si sia qualcosa di spontaneo e casuale in quanto sta accadendo. Perché infatti non c’è. Proprio nulla.
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