Scusate, com’era quella degli italiani che sono un popolo responsabile, meritevole di fiducia e che non necessita della Stasi che li controlli nei movimenti? Mi pare di ricordare che pochi giorni fa più di un politico sia ricorso – senza timore del ridicolo – a questi termini di paragone con la Ddr per contestare la prosecuzione della politica di coprifuoco alle 22 decisa dal Consiglio dei ministri. Come la mettiamo di fronte alle edificanti scene milanesi del weekend, ben prima del coprifuoco?
Già, perché per garantire al virus una primavera da leone, la mia città ha deciso di non risparmiarsi: non fossero bastati i 30.000 di piazza Duomo per i festeggiamenti calcistici, il giorno prima all’Arco della Pace si è tenuta una manifestazione no-mask con 300 persone. Non ci siamo proprio fatti mancare nulla. Tranne il buonsenso. Più che la Stasi, per gente che si disinteressa così apertamente della sicurezza pubblica, in tempi in cui ancora ci si ammala e si muore, ci vorrebbero la VoPo. Tanto per restare in tema di Ddr.
Ora, in attesa di scoprire se venerdì 14 maggio il Cts rispedirà Milano – se non l’intera Lombardia – in zona rossa e di sentire nuovamente i lamenti delle varie categorie contro il ministro Speranza (il quale ha molti difetti, ma, ad esempio, non è responsabile per la gestione dell’ordine pubblico nel capoluogo lombardo), vi mostro un grafico che potrebbe risultare decisamente illuminante rispetto a quanto sta accadendo nel Paese. Questo, pubblicato venerdì scorso su dati raccolti da Exante Data, soggetto leader nel consulting anche demoscopico: l’Europa ha ufficialmente superato gli Usa dei record nella somministrazione di vaccini.
Ohibò, cosa accade? Voi lo sapete da tempo, visto che a differenza dei Majakovsky di Joe Biden in servizio permanente effettivo su tutta la stampa cosiddetta autorevole, sapete da almeno due settimane che qualcosina si è inceppato nella perfetta macchina da guerra delle vaccinazioni di massa Oltreoceano. Certo, innegabile che quanto stranamente accaduto con Johnson&Johnson da parte di una Fda tramutatasi di colpo in istituzione cardine della farmaco-vigilanza mondiale abbia pesato. E non poco. Ma la questione dirimente voi sapete benissimo essere un’altra e risalente al 12 aprile scorso, quando il numero una della Fed di St. Louis, James Bullard, scoperchiò strumentalmente il vaso di Pandora: «Un tasso di vaccinazione nazionale del 75% permetterebbe alla Federal Reserve di cominciare il dibattito sul taper del programma di acquisti». Stranamente, la nazione-faro del mondo, di colpo, ha cominciato a rallentare nella sua corsa verso il ritorno alla normalità. Aiutata, sempre casualmente, da un’ente federale come la Fda, fino ad allora ben predisposta nell’autorizzare la somministrazione anche dell’acqua dei fiori. Stranamente, da allora si è innescato il trend che venerdì scorso ha portato al sorpasso: l’Europa, trainata da una Germania capace di somministrazione anche oltre 1 milione di dosi al giorno, ha messo la quarta e cominciato a trottare verso l’immunità di gregge.
E l’Italia? Una delle capofila, quasi testa a testa con Berlino. Prendete le dichiarazioni del generale Figliuolo negli ultimi dieci giorni: sembrano le fotocopie di quelle in arrivo dalle autorità statunitensi fino alla prima decade di aprile. E come fioccano le dosi di vaccino, di tutti i tipi! Pratica di Mare, ormai, viene utilizzato solo per quello. Che strano, tutto questo nonostante gli Usa abbiano rifiutato persino di inviare dosi in più all’India piagata dalla pandemia e le stesse case farmaceutiche certamente non abbiano prodotto un surplus tale da poter garantire uno slancio come quello che l’Ue sta vivendo. Sorge il dubbio: non staremo recitando pedissequamente il copione statunitense con un trimestre di ritardo? Guarda caso, da due settimane c’è la certezza che al prossimo board della Bce (10 giugno) si parlerà in qualche modo di una rimodulazione verso la normalità dell’impegno diretto sul mercato tramite il Pepp. Fino all’altra settimana, erano i dati macro a parlare quella lingua: ripresa più forte del previsto e, soprattutto, inflazione più in ebollizione del previsto. Poi, guarda caso, venerdì scorso il dato di crescita dell’eurozona delude. E non poco, segnando un calo del Pil tedesco nel primo trimestre superiore anche alle attese del consensus, votate al pessimismo per il lungo lockdown. Ma le vaccinazioni, in contemporanea, viaggiavano come treni al tempo del Duce.
Stessi prodromi, stesse dinamiche Usa: si crea un’enorme aspettativa percepita di ripresa macro, sostenuta in realtà solo da deficit statali in continua espansione e liquidità delle Banche centrali a finanziarli, poi si opera per il più classico e scontato degli incidenti controllati. Casualmente, qualcosa si intoppa. Negli Usa, state certi, la quarta ondata sarà precedente alla riunione di Jackson Hole della Fed, la cui data è ancora da fissare, ma che solitamente cade nell’ultima decade di agosto. Per l’esattezza, una nuova ondata determinata magari dal drastico calo di tasso vaccinale potrebbe colpire gli Stati Uniti fra il 15-16 giugno (data del prossimo Fomc) e quell’appuntamento-cardine in Wyoming: ma magari le mie sono solo congetture, manca poco e vedremo. Le coincidenze, però, cominciano a essere tante. Troppe. Quantomeno per i miei gusti. Usa ed Europa stanno muovendosi in base allo stesso spartito: l’America, forte dei suoi tre mesi di vantaggio e del ruolo di direttore d’orchestra, già mette le mani avanti, cercando disperatamente di raggiungere il punto di non ritorno prima di settembre.
Perché? Semplice, entro quel mese saranno stati erogati 1.200 dei 1.900 miliardi di aiuti diretti del piano Biden e, soprattutto, il 30 scadrà l’aumento del 15% nel controvalore dei food stamps, i buoni pasto, legato al programma anti-pandemico. Tradotto, l’inflazione rischia di mostrare agli americani la sua vera faccia di topo feroce che erode il potere d’acquisto reale, non quello dopato dai trasferimenti emergenziali di welfare. Caso strano, Joe Biden sta lavorando per aumentare platea e controvalore (+20%) di quei voucher alimentari. A partire dal 1 ottobre, colmo delle coincidenze. E bypassando emergenzialmente il Congresso.
E in Europa? Prendiamo l’Italia. Al netto della deroga sulle cartelle esattoriali arretrate fino al 31 maggio, grava come un macigno il blocco dei licenziamenti e quello sugli sfratti: due bombe a orologeria innescate sotto il sistema, di cui ovviamente il comparto bancario sta già scontando gli effetti nefasti con una contrazione degli standard di credito. Tout se tient, d’altronde. «Senza riforme, si rischia lo stop all’erogazione dei fondi europei», ha ricordato ieri dalle colonne de Il Messaggero, il Commissario europeo, Paolo Gentiloni. Non a caso, Mario Draghi ha avocato a sé i poteri di governance sul Recovery Fund. I partiti si scannino pure su coprifuoco e legge Zan, ma sulle questioni serie, esiziali, non mettano bocca. E nessuno pare aver nulla da ridire.
La morale di questa favola è solo una: il mondo intero non può più vivere senza deficit e liquidità a tasso zero. Non è nemmeno più questione di mercati che non reggono e minacciano tonfi delle equities, qui siamo alla sopravvivenza di intere architetture sociali e statuali che restano in piedi soltanto grazie all’emergenza ciclica e strutturale. Non a caso è ormai opinione diffusa che occorrerà vaccinarsi ogni anno per un po’, che comunque con il Covid occorrerà imparare a convivere, che serve aumentare la ricerca scientifica e creare cuscinetti permanenti per affrontare epidemie e pandemie che si faranno sempre più sistemiche. Semplicemente, alibi. Hanno utilizzato il Covid come hanno fatto con l’Isis, la Corea del Nord, la guerra commerciale con la Cina, il Russiagate. Ora, fino a quando non salterà fuori un nuovo babao credibile, dovremo campare in base agli stop-and-go imposti dall’indebitamento. Ma la lista si è fatta breve, quantomeno per i grandi players: Usa e Cina abbaiano e ringhiano l’un l’altro, ma se per caso dovessero mordersi, difficile pensare a quale potrebbe essere l’epilogo. Quindi, si gioca sui proxies. Uno dopo l’altro, pronti a saltare fuori – formalmente inaspettati all’opinione pubblica, intontita per bene – dai cilindri del grande leverage swindle che stiamo vivendo.
Chissà, ad esempio, se sia stata davvero imprudenza, impreparazione e mala organizzazione quella che ha portato al virus party di piazza Duomo domenica? Non a caso, i virologi meneghini hanno già sentenziato: «Temiamo un aumento dei casi a breve». O magari la gestione quantomeno approssimativa degli arrivi di cittadini da India e Sri Lanka, il cui tracciamento – a detta delle stesse istituzioni – è pressoché già saltato del tutto, a causa della possibilità di operare scali sulle tratte. E se il nemico arriva da fuori, da lontano, l’alibi appare perfetto.
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