SPY FINANZA/ La zavorra tedesca che pesa anche sull’Italia

- Mauro Bottarelli

La situazione per industria e imprese tedesche è molto critica per via dei costi energetici. Gli Usa ringraziano e la Francia può approfittarne

germania habeck scholz lindner 1 ansa1280 640x300 Da sin: Robert Habeck, il cancelliere Olaf Scholz, Christian Lindner (Ansa)

Parlare della Bce è inutile. Quando la numero uno di un’istituzione finanziaria utilizza il tempo a sua disposizione non per spiegare cosa stia accadendo e quali siano le contromosse allo studio, bensì unicamente per sottolineare stizzata che le proprie decisioni non sono dipendenti da quelle della Fed, c’è poco da sperare. Implicitamente, ha ammesso di essere totalmente in balia dei desiderata di Washington. E vista la provenienza di Christine Lagarde, la cosa non stupisce. La guida del Fmi è stata una palestra straordinaria, in tal senso. Costellata di fallimenti al punto giusto, Argentina in testa. Ora può tranquillamente svolgere il suo compito attraverso la leva monetaria dell’euro.

In compenso, vi invito a pensare alle cose serie. Che stanno racchiuse in questi due grafici di fatto la plastica dimostrazione di quanto stia dipanandosi sotto gli occhi impotenti (e complici) di Bce e Commissione Ue, proprio grazie al totale asservimento alla Fed da un lato e alla Casa Bianca/Nato dall’altro.

Il numero di fallimenti aziendali in Germania non ha paragoni. A marzo l’aumento mensile è stato del 9% per un totale di 1.297, mentre su base annua siamo addirittura al +35% e al +30% rispetto alla media del terzo mese dell’anno nell’arco temporale del triennio pre-Covid 2016-2019. Ripeto, signori. Stiamo parlando della Germania, l’ex locomotiva d’Europa. Ormai terminata su un binario morto. E ce lo mostra drammaticamente il secondo grafico. La parte che ci interessa è quella del biennio fra fine del 2020 e fine del 2022, quella contrassegnata dal calo nella linea di tendenza e dai tre puntini rossi. Questi ultimi rappresentano altrettanti Piani di sostegno federale per le piccole e medie imprese tedesche, un diluvio di prestiti agevolati e garanzie statali con cui Berlino ha affrontato prima la pandemia e poi la crisi energetica da sanzioni, quella costata oltre 20 miliardi solo per la nazionalizzazione di Uniper. Bene, il trend della linea gialla è proprio quello dei fallimenti aziendali. Tradotto, la Germania è diventata un’economia totalmente dipendente da sussidi e aiuti di Stato. Il capolavoro di Commissione Ue e Bce è compiuto. Gli Stati Uniti sentitamente ringraziano. Mentre il loro agente all’Eliseo sogghigna, pronto a rinegoziare da un punto di forza – nonostante la criticità macro senza precedenti del suo Paese – il patto renano 2.0.

Ora, placate a colpi di buonsenso la vostra Schadenfraude per le disgrazie degli ex primi della classe e pensate: essendo l’Italia il primo partner commerciale della Germania, forte di un interscambio superiore di oltre 20 miliardi rispetto proprio a quello con la Francia, cosa rischia di accadere alle dinamiche strutturali di quella partnership industriale e commerciale, alla luce di questi dati da Spoon River corporate e dell’idea stessa di un’economia che regge solo se lo Stato finanzia? Non è un caso che l’altro giorno, il Financial Times pubblicasse una lunga intervista con il numero uno della Rwe, la Confindustria tedesca, dai contenuti decisamente allarmanti.

A detta di Markus Krebber, infatti, difficilmente l’industria tedesca si riprenderà mai interamente dalla crisi energetica del 2022, la quale ha generato una significativa distruzione strutturale della domanda. E non basta. Rileggete il mio articolo di ieri dedicato ai rapporti italo-francesi e poi segnatevi questa frase del capo degli industriali tedeschi: Le importazioni di gas liquefatto Lng (dagli Usa) mettono comunque le nostre aziende in una situazione di netto svantaggio economico rispetto a quando potevano contare su un flusso garantito di gas russo via terra e a prezzi convenienti. Detto fatto, ThyssenKrupp ha appena comunicato tagli alla produzione (e conseguentemente occupazionali) nei suoi stabilimenti tedeschi, proprio a causa dei costi energetici che hanno contratto enormemente i margini. Tradotto, occorre risparmiare altrove. Nella forza lavoro. Si delocalizza dove costa meno. E dove non c’è un sindacato come la IGMetall.

Guarda caso, l’amico francese, quello del patto renano e del Patto del Quirinale, ha avuto un’unica priorità cui dare risposta negli ultimi mesi di parossistico atlantismo filo-ucraino: vedersi garantita dagli Usa una fetta del nuovo business energetico reso possibile proprio dal regime sanzionatorio imposto dall’Ue. Ovvero, il gas liquefatto. Quello il cui costo, a detta di Markus Krebber, comunque fa partire le aziende teutoniche a handicap. Come i giocatori di golf. O un centometrista costretto a correre con i pesi alle caviglie.

Per oggi basta così. In queste righe, c’è il nostro futuro e quello dell’Europa. Generato dal tradimento di più di un soggetto. Alcuni quantomeno capaci di farsi pagare il servizio, altrimenti probabilmente felici di farlo gratis. Per mera predisposizione. Ora prendete il quadro economico che esce da questa congiuntura, unitelo all’inutilità della Bce – se non come strumento di politica estera della Fed – e a un’Italia con un deficit attualmente fissato al 7,2% di un Pil previsto all’1% e capacità di spesa ridotta a zero e saldi invariati, stante il nuovo Patto di stabilità. Shakerate il tutto. E godetevi il trailer di quella che sarà l’azione politica del Governo post-europee.

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