Occorre fare attenzione alle letture che vengono fatte sul calo del Pil Usa nel primo trimestre dell'anno

Apriti cielo. Il dato del Pil statunitense del primo trimestre ha immediatamente acceso gli animi di chi già sogna gli scaffali degli Walmart vuoti e le code davanti agli uffici federali per i food stamps, in modo da poter rimpiangere en plein air la Bidenomics del debito pubblico e della spesa federale alle stelle a garantire crescita (dopata) e (falsa) occupazione.



Quel -0,3% ha ringalluzzito molti. Colpa dei dazi! Sicuri? Se è colpa dei dazi, se il peggio deve ancora venire, come prospetta qualcuno, spiegatemi questa dinamica.

Com’è che, apparentemente, il crollo delle spedizioni dalla Cina verso gli Usa sembra già terminato e abbia cominciato una risalita dopo il proverbiale bottom? Cosa sanno le grandi catene retail a stelle e strisce che noi comuni mortali apparentemente ignoriamo?



Ora date un’occhiata a questi altri due grafici, i quali mettono la questione un pochino più in prospettiva.

A far precipitare in negativo il dato del Pil statunitense ci hanno pensato le importazioni in netto aumento, questo nessuno lo nega. Vi invito però a vedere quanto ha pesato l’import di oro fisico solo nel mese di gennaio. Ripeto, solo a gennaio. Nei due mesi successivi, è anche aumentato. Tanto da aver contagiato il prezzo spot fino al record assoluto. Bene, a gennaio il controvalore è stato di 30,4 miliardi di dollari, il doppio registrato durante la pandemia.

Pensate che al Comex proseguiranno con quel ritmo ancora per molto? O forse adesso c’è abbastanza collaterale fisico per evitare una colossale e sistemica fail-to-deliver per le bullion banks che giocano con i futures e che la Cina con i suoi acquisti stava mettendo in un angolo?



Signori, occorre guardare in faccia la realtà. E quel dato relativo ai trasporti da Cina a Usa certamente non prospetta un collasso bilaterale. Come scrivevo nel mio articolo di ieri, Pechino ha ben altre armi da sfoderare per mostrare i denti a Washington. I cinesi hanno molti difetti, ma la postura da Tafazzi proprio non si addice al loro profilo: devono esportare e l’unico supermarket a cielo aperto al mondo si chiama America. Tutto il resto è rumore di fondo. Buono per altre logiche.

Pensate davvero che a Donald Trump e al suo inner circle interessi questo dato del Pil? L’archivio di questa testata mi è testimone, basta inserire le parole chiave nel motore di ricerca. Per l’esattezza, Bidenomics e revisione. Ho passato mesi a pubblicare cifre e grafici rispetto all’incredibile coincidenza di revisioni al rialzo o al ribasso dei dati del Pil del trimestre precedente durante gli anni dell’Amministrazione Biden.

Se alla Fed serviva un certo dato, il Bls o chi per lui revisionava al rialzo o al ribasso. Senza problemi. E senza che nessuno gridasse allo scandalo come si sta facendo oggi per un -0,3% che è assolutamente nulla rispetto al -2,4% che il GDPNow della Fed di Atlanta prospettava per il Pil del primo trimestre soltanto un mese fa.

Il problema è che la gente ha la memoria corta. O, in alcuni casi, parla senza conoscere i dati. Se poi volessimo essere ancora più completi nell’analisi, occorrerebbe andare anche oltre e capire il perché di quelle importazioni di oro record nei primi tre mesi di quest’anno. Certo, occorreva garantire un abbassamento della leva fra fisico e carta alle banche che ciclostilano futures aurei, questo è noto. Ma vi invito a dare un’occhiata a quest’ultimo grafico. Il quale fa riferimento proprio al primo trimestre dell’anno in corso.

Nella fattispecie specifica, fa riferimento al 33% di aumento delle unrealized losses che giacciono come leoni marini spiaggiati nei bilanci delle banche Usa. Qualcosa come 482 miliardi di controvalore. E signori, +33% su base trimestrale e non annuale. E cosa può aver fatto moltiplicare le perdite per ora non scontate a bilancio in quel modo? Chiaramente, l’esplosione dei rendimenti dei Treasuries. E il loro conseguente deprezzamento rispetto ai valori di iscrizione a bilancio. Casualmente, la stessa preoccupazione della Casa Bianca e del Tesoro, in vista dei 7 trilioni di debito in scadenza su cui operare roll-over da qui all’autunno.

Forse serviva apparecchiare la pantomima dei dazi e delle tariffe per operare in modo tale da garantire un prodromo di intervento della Fed, da qui all’estate? Forse sul piatto della bilancia pesa più quella dinamica ormai insostenibile che l’inutile dato di crescita di un singolo trimestre? Il fatto che, non più tre giorni fa, il Tesoro Usa abbia triplicato le emissioni di debito previste per il secondo trimestre di quest’anno, passate da 123 a 514 miliardi di dollari di controvalore, in tal senso non vi suggerisce nulla?

Come mai questo dato non ha sortito l’interesse e l’indignazione di nessuno? Forse perché a determinare l’esplosione dello stock di debito pubblico Usa ci ha pensato proprio la Bidenomics, stante le spese per soli interessi annui raddoppiate fra il 2020 e il 2024 e oggi a quota 1,2 trilioni di dollari? O forse anche questa dinamica è ascrivibile a dazi e tariffe?

Senza scordare che è stata la sciagurata gestione Biden-Powell dell’inflazione ad aver generato scelte distorsive che oggi si riverberano in praticamente tutte le dinamiche monetarie e che rischiano, da un momento all’altro, di creare i presupposti di una stagflazione. La quale, certamente, non si può essere determinata in due mesi di Amministrazione Trump e con la politica dei dazi nota a tutti già dalla campagna elettorale del 2024.

Attenzione ai venditori di retorica senza dati. Chi parla di economia omettendo numeri e percentuali, solitamente ha qualcosa da nascondere. O un’agenda parallela da perseguire.

Donald Trump salverà il mondo? No. Ma sicuramente sta salvando silenziosamente Wall Street. Esattamente come ogni Presidente Usa prima di lui.

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