L’arresto di un ucraino per l’attentato al Nord Stream pone un problema all’Europa: Zelensky ha mentito. Ci si può fidare di lui?
La conseguenze dell’attentato del 26 settembre 2022 al gasdotto russo Nord Stream del Baltico rischiano di mettere a dura prova i rapporti con Kiev soprattutto perché, man mano che emergono nuovi particolari sulla vicenda, è evidente come Zelensky non avrebbe detto la verità quando dichiarò di non sapere nulla dell’operazione.
Si trattò di un sabotaggio che non fu orchestrato dai russi, come si era detto e sostenuto da più fonti occidentali, soprattutto inglesi con il Guardian in prima fila, ma portato a termine dall’intelligence ucraina, come d’altronde appariva probabile già dal primo giorno, visti i danni causati all’infrastruttura russa e per le conseguenze che avrebbe causato all’export russo anche a guerra finita.
Dopo che Svezia e Danimarca avevano frettolosamente concluso le indagini con un nulla di fatto, l’inchiesta tedesca era invece proseguita con molto impegno (d’altronde i potenziali disastri per l’approvvigionamento energetico hanno ed avrebbero colpito in primis proprio la Germania), mettendo in luce molte responsabilità di Kiev a cominciare da quelle di Sergei Kuznetsov, la spia ucraina arrestata a Misano Adriatico due giorni fa.
Al di là degli aspetti organizzativi dell’attentato, il punto “politico” e che quello che è stato considerato il più spettacolare e grave attentato ad una infrastruttura europea degli ultimi decenni è stato compiuto ai danni degli alleati di Kiev non solo senza informarli, ma anche negandone per mesi la responsabilità.
Una totale mancanza di lealtà. La domanda che ne consegue è: se l’Ucraina e Zelensky hanno mentito, quante volte lo hanno fatto da quando è iniziata la guerra? E che credibilità ha un governo che nasconde la verità su un fatto così importante, senza informare gli alleati neppure in modo molto riservato?
Eppure, come riportato anche da Bojan Pancevksi sul Wall Street Journal, dalla Bild e dal Washington Post e come è stato ricostruito dagli inquirenti tedeschi, l’operazione avrebbe avuto anche l’assenso dell’ex comandante supremo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhny.

Sergei Kuznetsov, 49 anni, è un ex capitano dell’esercito a riposo, ex membro dei servizi segreti SBU, membro dell’unità d’élite che nei primi mesi della guerra nel 2022 difese Kiev dall’assalto russo, non certo un agente qualunque. Secondo i media il suo team sarebbe partito a bordo dello yacht a vela “Andromeda” (noleggiato con documenti falsi) da Rostock, in Germania, il 7 settembre per dirigersi verso l’isola danese di Bornholm, toccando la Polonia e la Svezia. A bordo ci sarebbero stati quattro sommozzatori civili esperti e anche una donna, arruolata per far sembrare l’uscita dello yacht una crociera turistica.
Erano dotati di materiale d’immersione, un sonar portatile e mappe per localizzare il gasdotto posato 80 metri sotto il mare. Un compito impegnativo, ma in fondo non così difficile, che avrebbe messo fuori uso la principale via di fornitura energetica russa verso l’Occidente e in particolare la Germania.
Il gasdotto (già fermato dopo l’inizio della guerra attuando le sanzioni contro la Russia) esplose il 26 settembre, generando – secondo la Bild – tanta CO2 quanto ne produce la Danimarca in un anno e tre delle quattro condotte furono distrutte. Nel ritorno verso Rostock, però, il team avrebbe commesso l’errore di non togliere dall’Andromeda tutte le tracce dell’esplosivo utilizzato, mentre dai fondali del Baltico gli investigatori tedeschi hanno recuperato impronte, “materiale umano” e Dna, arrivando a ricostruire l’identità degli incursori.
Il punto è capire chi sapesse del piano, che secondo il Wall Street Journal era a conoscenza dello stesso presidente Zelensky, che prima diede il suo assenso, ma poi, quando la CIA ne intercettò la preparazione pare su segnalazione dei servizi segreti olandesi, lo bloccò. Ma il generale Zaluzhny non obbedì (il Corriere della Sera riporta che Zelensky avrebbe detto: “È come fermare un siluro: una volta partito si può solo aspettare che esploda”) oppure diede un tacito assenso non ufficiale.
Il sabotaggio ebbe comunque successo, ma si cercò da subito di incolparne gli stessi russi (che improbabilmente si sarebbero auto-evirati) così come sostenne il londinese Guardian citando le sue “fonti di intelligence”. Un’ulteriore operazione di depistaggio, dunque, oltre a favorire la fuga di altri componenti del commando intercettati dagli inquirenti tedeschi in Polonia e fatti rientrare in Ucraina con copertura diplomatica come il colonnello Roman Cervinsky, forse il responsabile sul campo dell’operazione.
Alla luce di questi fatti l’imbarazzo occidentale è ora evidente: ci si può fidare di un alleato che ottiene appoggi politici e militari in quantità, ma nega coinvolgimenti che successivamente appaiono invece innegabili?
Dove e quanto è allora credibile Zelensky quando parla dello stato del suo Paese e dell’andamento stesso della guerra, ricordando che da tre anni e mezzo in Ucraina vige la legge marziale e la diffusione delle notizie è accuratamente filtrata?
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