Dietro un'apparente calma, la Rai meloniana vive una fase di instabilità, in cui si sgomita per contare nel cerchio magico della premier

Come era facile prevedere, accompagnati alla porta gli ultimi residui di quella sinistra storica che un tempo governava tutto, il centrodestra che ha occupato le stanze di viale Mazzini è in preda alla più classica delle lotte fratricide. Così, mentre vengono spinti verso l’uscita senza tanti complimenti Ranucci e la sua Report (in trasloco a La7), e i titolari di Rai Cinema (Del Brocco) e di Rai Fiction (Maria Pia Ammirati), va in scena il consueto psicodramma tra compari dello stesso partito.



Altro che “centro di gravità permanente”: quello di Giampaolo Rossi alla Rai sembra piuttosto il governo della notte dei lunghi coltelli. Investito come “filosofo” dei Fratelli d’Italia, ex gabbiano rampelliano e oggi presunto baricentro di viale Mazzini, in realtà Rossi assomiglia a quei direttori d’orchestra che agitano la bacchetta ma devono sperare che gli orchestrali non lo travolgano. Perché tra Sergio, Chiocci, Vespa e il codazzo di partiti affamati di poltrone, la gestione Rossi vacilla di brutto.



Il bello è che al momento dell’investitura nessuno ci credeva davvero. Persino i suoi, più che brindare, avevano già scritto il necrologio aziendale. Però Rossi, invece di farsi rottamare come molti pronosticavano, ha resistito: niente “commissariamento”, niente retrocessione a comparsa di contorno, niente uscita di scena.

Un miracolo, dovuto soprattutto al sostegno di un Bruno Vespa eterno, l’uomo dalle mille orecchie piazzate nei corridoi di viale Mazzini, sempre pronto a ricordare che lui c’era già quando la Rai trasmetteva in bianco e nero.

E poi c’è l’affaire Chiocci. Meloni lo vorrebbe al suo fianco come portavoce, a dire dei bene informati de Il Foglio, soprattutto perché a lei serve qualcuno con cui potersi confidare (sembra che sia l’unico con cui parla di continuo via WhatsApp) senza essere spiata dai tanti “amici” (di partito) gelosi che occupano le stanze di Palazzo Chigi. A cominciare dall’eminenza grigia Fazzolari, che pare abbia blindato ogni settore della comunicazione del governo.



Il Cavallo Morente davanti alla sede RAI di viale Mazzini a Roma (Ansa)

Così Chiocci è rimasto a metà del guado, né pesce né carne, perdendo sia la poltrona di direttore del Tg1 sia quella di portavoce della premier. Condannato dai suoi stessi amici di partito a un limbo che, in confronto, il purgatorio dantesco è un albergo a cinque stelle.

Nel frattempo Rossi gioca la sua partita con pazienza e con la classica furbizia democristiana. Concede qualche nomina alla Lega, una carezza a Forza Italia, un buffetto al Pd (tanto per non farsi mancare nulla), mentre si prepara a piazzare Mellone, il poeta-cantautore, a capo di Rai Cinema. La Fiction, invece, rischia di finire in mano a Forza Italia, con la benedizione di Agostino Saccà che, da vecchia volpe, fiuta l’opportunità di piazzare lì uno dei suoi uomini più fidati.

Tutto questo mentre continuiamo a pagare un canone salato in bolletta e a ritrovarci una programmazione di basso livello (talk-show ridotti a centrali di smistamento elettorale per terze file). Rossi, convinto che i consensi non si coltivino solo con il Tg1 ma anche con la passerella serale di opinionisti preconfezionati, cerca di trasformare la Rai, ora che tutti quelli di sinistra sono stati cacciati o se ne sono andati in pensione, in una gigantesca Tele-Meloni. Ma, a giudicare dal caos interno, la Rai appare come una macchina in folle: tutti girano, nessuno comanda davvero, e ogni tanto qualcuno vola fuori (come Marcello Foa).

Morale della favola: Rossi non è il perno immobile di un sistema instabile, ma il funambolo di un circo impazzito. Per sapere come andrà a finire, basta aspettare i prossimi dati sugli ascolti: alla Rai l’unica certezza è che la prossima puntata sarà sempre più surreale della precedente, scavalcata da Mediaset e dalla concorrenza sempre più forte del binomio Corriere della Sera/La7.

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