In Ucraina USA intenzionati a lasciare la scena: il negoziato non va da nessuna parte, deciderà il campo di battaglia. E il tempo è dalla parte dei russi
La NATO che annuncia di aumentare gli aiuti militari, l’inviato speciale Steve Witkoff che sbaglia a capire le condizioni dei russi per trattare, il generale Zaluzhny in predicato di sostituire Zelensky e intenzionato comunque a proseguire il conflitto. Altro che svolta o pace possibile: la possibilità di un negoziato, sbandierata da Trump, alla quale non crede neanche lui stesso, visto che ha dichiarato che mettere insieme Putin e Zelensky è come unire olio e aceto, sembra più una pia illusione.
Alla fine, commenta Giorgio Battisti, generale già comandante del Corpo d’armata di reazione rapida (NRDC-ITA) della NATO in Italia e capo di stato maggiore della missione ISAF in Afghanistan, il conflitto tra Russia e Ucraina lo deciderà il campo di battaglia, sul quale le truppe del Cremlino continuano ad avanzare, anche se lentamente. E nelle loro operazioni militari hanno inserito anche un obiettivo USA, come se volessero dire agli americani di non sposare troppo le tesi degli altri occidentali, niente affatto disposti a riconoscere le condizioni poste da Mosca.
Trump, però, ormai sembra sfilarsi più che può da questa guerra, pur annunciando che vuole chiudere le trattative in due settimane.
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo del Comitato militare della NATO, dice che aumenteranno gli aiuti militari all’Ucraina. E le trattative di pace?
È chiaro che Cavo Dragone segue l’indirizzo politico che vuole cercare di far pressione sulla Russia perché accetti una tregua. A Washington sembrava di assistere a un discorso tra sordi: i leader europei spingevano per un cessate il fuoco, mentre Trump lo escludeva, sostenendo che si può arrivare a un’intesa con i combattimenti in corso. Si parla ancora di sanzioni, mentre Macron rilancia l’idea di schierare forze di rassicurazione sul territorio ucraino. Non mi sembra che le posizioni siano così cambiate.
Anche Putin, alla fine, in Alaska ci è andato sapendo che la guerra sarebbe continuata?
Penso che Putin sia andato ad Anchorage per far sì che la Russia sia nuovamente riconosciuta come una grande potenza, come ai tempi dell’Unione Sovietica. Non per niente Lavrov si è presentato con una felpa dell’URSS. Secondo diverse fonti americane, Trump e Putin hanno parlato di migliorare i rapporti diplomatici ed economici, dello sfruttamento delle risorse minerarie dell’Alaska. Insomma, di tutto meno che dell’Ucraina. E il presidente americano ha ribadito che non si parla di tregua ma di accordo di pace, che poi è la posizione di Putin, non cambiata dal primo giorno di guerra.
Secondo alcuni analisti la trattativa è falsata da alcuni equivoci, di cui sarebbe responsabile l’inviato di Trump per l’Ucraina, Steve Witkoff, che non avrebbe capito le proposte dei russi. Per esempio, in cambio della cessione per intero del Donbass, in realtà il Cremlino non avrebbe offerto niente. È possibile un fraintendimento del genere?
Anche in passato è capitato che l’interprete non traducesse correttamente certi termini. E Witkoff, o qualcun altro, potrebbero non aver capito bene il senso delle proposte russe. È successo anche con Saddam Hussein, in occasione dell’invasione del Kuwait: sosteneva di aver parlato con il segretario di Stato USA di allora e di aver capito che poteva procedere con le operazioni militari. Ed è solo uno degli esempi.
Resta comunque un difetto di strategia da parte americana?
Witkoff non è un diplomatico di professione, ma un uomo d’affari: non ha l’esperienza per capire la controparte dal punto di vista politico o diplomatico. Gli ambasciatori, invece, sanno capire qual è il vero significato che si cela dietro una frase, ne comprendono il senso autentico.
Gli americani, comunque sia, si stanno chiamando fuori dalla guerra? Anche Vance ha ribadito che la sicurezza dell’Ucraina sarà quasi esclusivo compito dell’Europa.
C’è un fatto non molto considerato, ma significativo dell’approccio americano. Il governo USA ha dato disposizione di non condividere più le informazioni di intelligence sull’Ucraina con i Five Eyes, un club ristretto di Paesi di lingua anglosassone (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Australia) che, sin dai tempi della Guerra fredda, condividono tutte le informazioni. Il fatto che gli americani non mettano più in comune quello che sanno dell’Ucraina significa che gradualmente si stanno chiamando fuori, lasciando che se ne occupi l’Europa.
Gli USA, però, almeno a giudicare dall’incontro di Washington, ora mostrano di dare qualche credito agli europei, almeno apparentemente. Ai russi non interessa?
Nell’Ucraina occidentale i russi hanno colpito la FLEX, una fabbrica USA di componenti elettronici. Penso che non sia un errore, ma un segnale all’America perché non condivida troppo le posizioni occidentali. Si parla delle intenzioni americane di aprire aziende, anche per produrre armi; si fa pure il nome della tedesca Rheinmetall.
Rimane l’interesse di Trump e Putin a togliere dalla scena Zelensky? In questo quadro le elezioni in Ucraina diventano sempre più probabili?
Putin, e dopo di lui Peskov, hanno detto più volte che un eventuale accordo di pace deve essere firmato da una persona regolarmente nell’esercizio delle sue funzioni, mentre il mandato di Zelensky è scaduto da più di un anno. A Putin il presidente ucraino è sicuramente antipatico e tutti ricordano come sia stato trattato da Trump alla Casa Bianca mesi fa. D’altra parte chiede soldi e armamenti, si lamenta.
Media americani e ucraini sostengono che Zaluzhny, ex capo di Stato maggiore ucraino e attuale ambasciatore in Gran Bretagna, abbia già istituito un comitato elettorale per partecipare al voto. Tutti lo indicano come uomo degli inglesi: significa che, in caso di elezione, la guerra con i russi continuerà comunque?
I britannici, insieme ai francesi, tra i Paesi occidentali sono quelli più orientati verso un’azione più aggressiva, anche militare, nei confronti della Russia. Facile pensare che, se fosse eletto Zaluzhny, il conflitto potrebbe continuare. È anche vero, però, che l’Ucraina è in grosse difficoltà in questo momento: si potrebbe pensare anche a raggiungere un accordo di pace.
La guerra, insomma, la deciderà il campo di battaglia?
Stalin, nella Seconda guerra mondiale, diceva che dove arrivavano i soldati russi era Unione Sovietica, o comunque una sua zona d’influenza. Questa mentalità è rimasta. Non penso che Putin, dopo oltre tre anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti e feriti, consenta di ritirarsi dai territori che ha occupato: dovrebbe renderne conto sul fronte interno. Zelensky, sul campo, riesce a malapena a contenere la progressione dei russi, che però, avanzando di pochi chilometri alla volta, non cambiano le sorti della guerra. Mosca spinge comunque, perché pensa che il fronte ucraino possa cedere. Secondo un sondaggio, il 70% degli ucraini non è disposto a cedere territori alla Russia, ma, secondo un dato solitamente non preso in considerazione, nella stessa percentuale dicono che sono stanchi della guerra.
(Paolo Rossetti)
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