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Home » Cronaca » STATUE IMBRATTATE/ E quei “razzisti” di Cesare e Shakespeare?

  • Cronaca

STATUE IMBRATTATE/ E quei “razzisti” di Cesare e Shakespeare?

Gianfranco Lauretano
Pubblicato 18 Giugno 2020
roma_colosseo_storia_arte_lapresse_2016

Il Colosseo (LaPresse)

Rimuovere o imbrattare monumenti dedicati a persone del passato accusate di razzismo rischia di fare “vittime” eccellenti, azzerando la nostra memoria storica

Questa storia di rimuovere o imbrattare monumenti dedicati a persone del passato che si sono macchiate di colpe razziste, colonialiste o sessiste che siano, è partita come al solito dai circoli politically super-correct anglosassoni e si sta espandendo nelle province dell’impero, tra le quali l’Italia.

L’ultima in ordine di tempo è la statua di Indro Montanelli che, per la seconda volta, è stata imbrattata di vernice, rossa quest’anno, rosa l’anno scorso. Rischi peggiori corre quella di Winston Churchill, in Inghilterra, al quale non è servito a nulla vincere una guerra mondiale: per le sue idee razziste sui popoli che abitavano l’India e le terre extraeuropee dell’impero inglese i monumenti che lo ricordano rischiano di cadere sotto la scure, o il gavettone, dei moralizzatori a ritroso, questa nuova categoria politico-intellettuale che ha deciso di passare la scopetta facendo le pulizie sulla memoria storica.


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A questo punto ho pensato che occorre dar loro una mano, perché sono innumerevoli i reperti architettonici, artistici e perfino letterari che ancora oggi ci ricordano esperienze storiche razziste, sessiste e colonialiste; siccome abbiamo deciso che si può cancellare ciò che è avvenuto anche dopo che è avvenuto, tanto vale contribuire.


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Direi che, ad esempio, occorre radere al suolo tutti i monumenti di epoca romana, a cominciare dagli archi di trionfo, i quali venivano edificati per celebrare il trionfo, appunto, di un qualche imperatore o console al ritorno da una campagna di conquista dal sapore inequivocabilmente coloniale: come ha trattato, ad esempio, quel razzista di Giulio Cesare i Galli? Già che ci siamo, si dia al rogo ogni copia del suo De bello gallico, e di ogni racconto latino che cantava la superiorità romana rispetto ai popoli sottomessi. E anche greco, va’. Radere al suolo il Colosseo e spianare il Circo Massimo: quanti schiavi e gladiatori ci sono morti? Ma, peggio ancora degli uomini, quanti animali, spesso di specie in via di estinzione? Poveri leoni, povere giraffe: nulla di più orribile dell’eco-razzismo.


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Anche i monumenti letterarî andrebbero selezionati e, nel caso, distrutti. Shakespeare, ad esempio. Il suo Mercante di Venezia è un’opera clamorosamente antisemita: l’ebreo Shylock è rappresentato in modo da gettare in cattiva ombra i suoi correligionari e, orrore degli orrori, alla fine è costretto da Antonio a convertirsi al cristianesimo. Ma si può? Comprendiamo tutto, ma il cristianesimo no. Si dia fuoco immediatamente ai libri di Shakespeare, o almeno li si affoghi in un mare di vernice rossa.

In America rischiano grosso le statue del generale sudista Lee, associato ovviamente alla difesa della schiavitù nel Sud contro l’esercito liberatore del Nord. Vorrei però ricordare che continuano a passare in tivù anche le puntate della “Contea di Hazzard”, con le rocambolesche avventure dei fratelli Duke e, ad ogni puntata, un inseguimento in auto per le campagne della contea: ora, l’auto dei Duke si chiama “Generale Lee”: cosa aspettiamo a cancellare questa serie?

Facile, infine, ordinare che anche tutte le copie della Divina Commedia vadano incenerite. Ricordiamoci che Dante mette Maometto all’Inferno: si tratta di un chiaro caso di razzismo islamofobico. Come si è permesso? Bisognerà anche indagare sull’età di Beatrice: Dante racconta nella Vita Nova di averla incontrata ed essersene innamorato a nove anni: si intravedono indizi evidenti di disgustosa pedofilia. Sorvoliamo su Pasolini che frequentava a pagamento minorenni, e sulle sue statue.

A questo proposito, tornando a Maometto, è una vera fortuna che sia proibito agli artisti ritrarne l’immagine, sia in pittura che in scultura. Pare infatti che la sua sposa più importante, quell’Aisha di cui Silvia Romano ha preso il nome dopo la prigionia in Africa, avesse sei anni quando l’ha sposata, anche se a sua discolpa occorrerà precisare che ne aveva già nove o dieci quando il matrimonio è stato consumato; il che mostra delle somiglianze con Montanelli. Per fortuna, ripeto, del Profeta non ci sono statue: noi desideriamo risolutamente che non gli sia mancato di rispetto e che non avvenga che qualche imbrattatore ne profanasse l’immagine. O forse non avverrebbe? Non vorremo mica insinuare che gli imbrattatori siano unilaterali?


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