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Home » Cultura » Storia » STORIA/ “Bella ciao” e la Volante rossa, i danni di una rivoluzione “mancata”

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STORIA/ “Bella ciao” e la Volante rossa, i danni di una rivoluzione “mancata”

Massimo Polledri
Pubblicato 21 Settembre 2025
Giancarlo Pajetta e Giorgio Napolitano, entrambi del PCI, a Roma nel 1976 (Ansa)

Giancarlo Pajetta e Giorgio Napolitano, entrambi del PCI, a Roma nel 1976 (Ansa)

La canzone “Bella ciao” ci ricorda che la memoria non è mai neutrale. Emblematico il caso della “Resistenza tradita”

Ancora oggi molteplici circostanze, dibattiti e commemorazioni inducono a credere che l’origine delle divisioni politiche sia la Resistenza. Ritengo invece che sia il dopo-Resistenza.

La canzone Bella ciao, che da canto popolare e corale è stata riscoperta come strumento di confronto politico, ci ricorda che la memoria non è mai neutrale. Ogni epoca rilegge il passato alla luce delle proprie divisioni. Per capire, occorre recuperare ciò che è seguito: il dopoguerra, le fratture irrisolte, le tentazioni rivoluzionarie, le ombre della “Resistenza tradita”.


SEPARAZIONE DELLE CARRIERE/ 1. Ora Schlein, Conte & l'Anm mollino Togliatti per Matteotti e Falcone


La “Resistenza tradita” e la Volante Rossa

Nel dopoguerra si impose una narrazione diversa tra le stesse forze che avevano combattuto i tedeschi. Una parte consistente della sinistra comunista era convinta che la Resistenza non fosse terminata nel 1945, ma fosse stata interrotta, “tradita”, e che dovesse continuare fino alla realizzazione di una rivoluzione sociale.

Questa convinzione trovò la sua espressione più radicale nella Volante Rossa, un gruppo armato attivo tra il 1945 e il 1949 nell’area milanese.

La Volante Rossa non si limitò a colpire ex fascisti impuniti, ma arrivò anche a esecuzioni che scandalizzarono l’opinione pubblica, come le uccisioni di mogli e figli di fascisti già morti, e, per ultimo, l’omicidio di un tassista sospettato solo di simpatie politiche.

Come ricorda il libro di Santo Peli La Resistenza in Italia. Storia e critica (Einaudi, 2004), il fenomeno della Volante Rossa mette in luce le zone grigie della transizione democratica: la tentazione di una giustizia sommaria che si sovrapponeva al lento consolidarsi dello Stato repubblicano.

Il rapporto ambiguo con il PCI

La Volante Rossa ebbe legami con settori del Partito comunista italiano. Non fu mai un’organizzazione ufficialmente riconosciuta, ma di fatto venne tollerata e talvolta utilizzata come servizio d’ordine nelle manifestazioni. Il PCI oscillava tra la tentazione di cavalcare la spinta rivoluzionaria e la necessità di inserirsi nei meccanismi democratici nati dalla Costituente.

Un episodio emblematico resta quello della presa della Prefettura di Milano. L’esponente comunista Giancarlo Paietta, non appartenente alla Volante Rossa ma parte del gruppo dirigente del PCI, telefonò a Togliatti nel ’47 annunciando: “Abbiamo preso la Prefettura”. La risposta di Togliatti fu glaciale: “E adesso che cosa ne fate?”.

In quelle parole si riassumeva la distanza tra la tesi rivoluzionaria e la linea politica del partito, che pur mantenendo legami utilitaristici con i gruppi armati, non volle mai assumersi fino in fondo la responsabilità di un tentativo insurrezionale.

Tesi, antitesi, ma nessuna sintesi

Tra il 1945 e il 1948 si produsse quindi una dialettica irrisolta. Da un lato, i militanti che vedevano la Resistenza come incompiuta e conservavano le armi “per la rivoluzione mancata”; dall’altro, la direzione comunista che, pur non rinnegando mai del tutto quei gruppi, non portò alle estreme conseguenze l’ipotesi insurrezionale.

Aldo Moro nella prigione del popolo delle Brigate Rosse
Aldo Moro nella prigione del popolo delle Brigate Rosse (Foto: web)

Prevalse, per necessità e per scelta, l’idea di conquistare il potere per via politica. Le armi rimasero nei nascondigli per anni, alimentando il mito di una rivoluzione possibile ma mai realizzata.

Il sentimento della “Resistenza tradita” o incompiuta restò sotto la cenere, pronto a riemergere nei momenti di crisi, a testimonianza di una memoria divisa e mai pacificata.

La prospettiva della “Resistenza da continuare” non era solo politica, ma anche ideologica. L’ispirazione proveniva dalle letture marxiste-leniniste che vedevano nello Stato una sovrastruttura destinata a dissolversi dopo la presa del potere da parte del proletariato. Engels e Lenin avevano indicato la via: la distruzione delle costrizioni borghesi (famiglia, religione, istituzioni) avrebbe aperto alla “redenzione dell’umanità”.

L’eco di quelle visioni alimentò l’idea che la lotta partigiana non fosse finita con la Liberazione, ma fosse solo il preludio a un nuovo ordine sociale. Nel patrimonio della lotta e negli obiettivi della lotta, a sinistra si legge ancora la destrutturazione della società e della antropologia.

Una sintesi mancata: dalle Volanti Rosse alle Brigate Rosse

La prova che una sintesi sul “dopo Resistenza” non è mai stata davvero trovata emerge con chiarezza nei decenni successivi. Negli anni Settanta, infatti, le Brigate Rosse si richiamarono esplicitamente al mito della Resistenza incompiuta: nella loro propaganda si descrivevano come “i nuovi partigiani”, impegnati a portare a termine una lotta che, a loro dire, non si era conclusa nel 1945.

Questa autorappresentazione trovò terreno fertile in alcuni ambienti della sinistra extraparlamentare e nei luoghi di conflitto sociale, ma non fu mai condivisa dal PCI. Anzi, la distanza crebbe rapidamente. Enrico Berlinguer, segretario del PCI negli anni Settanta e Ottanta, si oppose in modo molto più netto e frontale di quanto avesse fatto Togliatti negli anni Quaranta.

Se Togliatti aveva oscillato tra il riconoscimento utilitaristico e il contenimento delle spinte armate, Berlinguer rifiutò senza ambiguità qualsiasi legittimazione della lotta armata, definendo il terrorismo brigatista un attacco alla democrazia e alla classe operaia stessa.

Questo contrasto dimostra che non vi fu mai una vera sintesi storica tra le due anime nate dal dopoguerra: quella che vedeva la Resistenza come “momento concluso” e base della Repubblica democratica, e quella che la interpretava come “processo aperto” da continuare fino alla rivoluzione. Le Brigate Rosse furono, in questo senso, la riprova della sopravvivenza del mito della Resistenza tradita, ma anche il segno di una frattura insanabile: non solo con lo Stato, ma con lo stesso movimento comunista ufficiale.

Una memoria ancora attuale

Ancora oggi il nodo della Resistenza tradita o incompiuta ritorna nel dibattito politico e culturale. Nessuno imputa alla sinistra ufficiale la responsabilità diretta degli atti violenti, ma la questione della Resistenza incompleta resta un tema divisivo. Se la Resistenza non è finita, se Bella ciao deve essere ancora cantata come inno di lotta, significa che esiste un nemico: ieri il fascismo, oggi i “nuovi fascismi” individuati di volta in volta.

La storia ci mostra che senza memoria c’è sempre il rischio di una contrapposizione strumentale che alimenta l’idea di una lotta senza fine. Ecco perché tornare a studiare quelle vicende non è un esercizio antiquario, ma un tentativo di comprendere il presente attraverso le lenti del passato.

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Tags: Palmiro Togliatti

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