Suad Amiry: “Hamas è un’idea, non si può distruggere”/ “Accordi di Oslo non hanno portato a nulla”

- Josephine Carinci

La scrittrice palestinese Suad Amiry racconta la situazione in Palestina dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso a Israele

guerra a Rafah Guerra nella Striscia di Gaza: raid Israele a Rafah (Ansa, 2024)

Suad Amiry, scrittrice palestinese 73enne, sulle pagine di Repubblica parla del doloroso e sanguinario conflitto in corso nella Striscia di Gaza. Dalle sue parole emerge il motivo per il quale gran parte dei palestinesi non condanna le azioni del 7 ottobre con l’attacco di Hamas a Israele. “Non sono mai stata così disperata. La catastrofe di Gaza è al di là di ogni immaginazione. È in corso una guerra contro tutta la gente di Gaza: chi ha i soldi per fuggire lo fa, gli altri rischiano la morte ogni giorno. È una catastrofe. Israele dice di voler distruggere Hamas: lo avrà indebolito, ma Hamas è un’idea, non si può distruggere militarmente. Che ci piaccia o meno. Nel frattempo gli ospedali, le scuole, le case vengono distrutti” spiega.

Quando le chiedono dell’attacco di Hamas e della reazione di Israele, Amiry è dura: “Le cose vanno messe in contesto e la storia non inizia il 7 ottobre. Bisogna capire anche cosa c’è stato prima: un’occupazione che dura da 75 anni, 17 anni di assedio a Gaza, la morte di centinaia di palestinesi in Cisgiordania senza che mai i giornali ne parlassero, gli sputi contro i cristiani a Gerusalemme, la crescita senza sosta degli insediamenti. Non sono delusa da Israele che ignora tutto questo, perché me lo aspetto. Ma dai Paesi europei e dagli Stati Uniti che continuano a vendere armi a Israele: cosa vi abbiamo fatto noi palestinesi per essere abbandonati così?”. Il 7 ottobre, dunque, è “la reazione all’occupazione israeliana e una situazione di apartheid in cui noi palestinesi siamo cittadini di terza classe. Con la seconda classe che è costituita dagli arabi israeliani”.

“Hamas va reso parte del processo politico”

Suad Amiry, scrittrice palestinese conosciuta in tutto il mondo, non condanna come ci si aspetterebbe gli attacchi di Hamas del 7 ottobre: “Rispetto la legge internazionale che vieta l’uccisione di tutti i civili. Ma anche che mi sembra che l’Occidente dia più valore ad alcune vite rispetto ad altre. Perché non abbiamo sentito condanne per i civili palestinesi uccisi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania prima del 7 di ottobre?”. La scrittrice è stata una grande sostenitrice degli accordi di Oslo e della soluzione dei due Stati: “Abbiamo negoziato per trent’anni, non siamo mai arrivati a nulla. E sa perché? Perché questo è uno scontro sulla terra, se vogliamo una soluzione dobbiamo partire dalla terra: e se continuano a crescere gli insediamenti sulla terra che ci è stata assegnata ad Oslo, non è possibile arrivare da nessuna parte. Gli americani e gli europei non sono seri sui due Stati: ne parlano solo nei momenti di crisi. Ma non hanno mai veramente fatto qualcosa per fermare gli insediamenti in Cisgiordania. Ho combattuto per i due Stati per tutta la vita, e guardi dove ci ha portato quell’idea”.

Amiry si dice distante da Hamas: la sua generazione, infatti, ha a lungo combattuto per ottenere una soluzione pacifica, che però non è arrivata. “Ho scritto un libro intero contro Hamas, non mi sono mai piaciuti. Ma tanta gente come me ha combattuto in modo pacifico: ed è stata delusa. La mia generazione è qui a chiedersi se ha sbagliato tutto. Poi c’è chi, come Abu Mazen, ha pensato che cooperare con Israele ci avrebbe portato pace: ora Israele dice che Abu Mazen è debole e non rappresenta la sua gente. Infine c’è chi ha scelto le armi: tanti giovani oggi pensano che Hamas abbia restituito alla causa palestinese dignità. Prima di sedermi qui con lei parlavo con un ragazzo che mi ha detto “Hamas ha vinto”. Gli ho chiesto come si può definire “vittoria” il fatto che ci siano due milioni di palestinesi alla fame. Ma lui e la sua generazione questo pensano. Oggi la soluzione, secondo Amiry, “sta nell’accettare la realtà e rendere Hamas parte del processo politico: perché lo è già. Con chi parlano al Cairo gli americani e tramite loro gli israeliani? È una realtà che non ci piace: ma che non possiamo ignorare” conclude la scrittrice.





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