La manovra potrebbe cambiare il sistema di tassazione dei dividendi incassati dalle società, con effetti indesiderabili
La manovra finanziaria discussa in questi giorni potrebbe contenere una rivoluzione per la tassazione dei dividendi incassati dalle società. L’argomento è tecnico, ma potenzialmente decisivo per il mercato dei capitali italiano.
Fino a oggi, è così dal 2003, le società che detenevano partecipazioni in altre società non pagavano tasse sul 95% dei dividendi percepiti. La ragione di questa apparente stranezza è che, senza questa esenzione, si pagherebbero due o più volte le tasse sugli stessi utili. Una prima volta verrebbero tassati gli utili della società che paga i dividendi e una seconda volta, indirettamente sullo stesso utile, sarebbe tassati ancora quando entrano nel conto economico della società che incassa i dividendi. Le norme in vigore attualmente assicurano che uno stesso reddito non sia soggetto a una doppia tassazione.
La manovra in discussione romperebbe questo meccanismo lasciando l’esenzione solo alle società che hanno partecipazioni superiori al 10%. Questa soglia, però, non è la norma, ma l’eccezione sia per le partecipazioni in società quotate, sia in quelle non quotate.

Anticipiamo subito un’obiezione e cioè perché dovremmo preoccuparci delle tasse che pagano le società che detengono partecipazioni in altre società. I Governi, infatti, sono pur sempre alla ricerca di un modo con cui finanziare la spesa sociale mentre si cerca di contenere il deficit pubblico. È proprio questo il punto nodale.
Non c’è un solo modo con cui “investire in borsa” o con cui investire in società e imprese quotate o non quotate. Le forme con cui questi investimenti avvengono sono diverse e rispondono a logiche che non possono essere le stesse per tutti. Alcuni imprenditori, per esempio, potrebbero mettersi insieme per investire direttamente in una società, magari da rilanciare o che magari merita particolari investimenti, dividendosi il rischio oppure prendendosene solo una parte in una logica di diversificazione.
Le forme sono tante, ma il risultato è la possibilità di indirizzare capitali verso imprese italiane. Dato che l’Italia, come tutti i Paesi del mondo, ha le proprie specificità e anche, perché no, le proprie criticità è importante avere soggetti italiani che investano in società italiane. È molto più facile approcciare una Pmi italiana da italiani piuttosto che da texani o da coreani.
Questo è un punto decisivo perché non è impossibile sfuggire alla fine dell’esenzione che il Governo italiano sembra intenzionato a ottenere. Basterebbe infatti trasferire i veicoli di investimento oltre confine in uno dei tanti Paesi, anche europei, in cui le società rimarrebbero immuni da questa nuova tassazione. Il Governo italiano, alla fine, si ritroverebbe con poche tasse in più e molti veicoli di investimento italiani in meno. A perderci sarebbe il sistema industriale italiano soprattutto quello più innovativo e soprattutto quello che ha più bisogno di investimenti, oltre che di interlocutori in grado di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
Ci sono due temi particolarmente attuali nel dibattito finanziario. Il primo riguarda le imprese, perché il credito costerà più di prima, e il secondo riguarda gli Stati che si chiedono dove prendere i soldi per ripagare i debiti senza sfasciare la coesione sociale. Purtroppo non ci sono soluzioni facili; non è nemmeno facile sfuggire alla tentazione di “soluzioni” semplici e brutali che forse funzionano nel breve, o brevissimo, e molto meno nel medio termine.
Il rischio è quello di trovarsi nel peggiore dei mondi possibili: senza tasse e senza capitali. Questi ultimi fuggiti verso destinazioni dove la sensibilità verso il sistema economico italiano è bassa per non dire nulla. A perderci in questo caso non è solo il fisco italiano, ma tutto il sistema delle Pmi che dovremmo difendere con le unghie e con i denti in uno scenario di guerre commerciali, ristrutturazione delle catene di fornitura globali e massima attenzione al rimpatrio delle produzioni. È un contesto in cui ci sono poche certezze; una di queste è che per sopravvivere e vincere servono tanti investimenti e tanti capitali.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
