TERREMOTO/ Se una piccola bimba ci ricorda l’imprevisto di vivere su questa terra

- Alberto Reggiori

La neonata estratta viva dalle macerie del terremoto a Jandairis (Siria) è un dono vivente che nessuna forza, nemmeno la più estrema, ha potuto schiacciare

neonata terremoto 640x300 A Jandairis (Siria) un uomo tiene in braccio la bambina appena estratta dalle macerie (foto da Youtube)

Sotto una coperta di detriti.

Dal cielo si vedono montagne di macerie dove piccoli uomini sconfitti si arrampicano affaccendandosi a mani nude, si scorgono persone che guardano il nulla, abbracciate tra le lacrime, osservando senza speranza le loro esistenze scomparse, poi città cancellate, scavatrici nel panorama desolante che sembrano giocattoli, ambulanze e divise fluorescenti, carcasse di automobili e grovigli di tralicci, macerie coperte di neve come presepi, famiglie raccolte attorno a fuochi che non scaldano.

Dal video giornalisti stanchi riportano bollettini sempre più drammatici, esperti spiegano, parlando di faglie che scorrono lente da sempre e che in pochi minuti hanno esploso la potenza accumulata nei secoli. Migliaia di vite spezzate senza pietà da questa natura che dà ragione a chi l’ha definita matrigna. Nessuno azzarda ulteriori spiegazioni o previsioni.

Il terremoto che ha sconvolto Turchia e Siria, con un bilancio di vittime in vertiginosa ascesa, rimarrà nella nostra memoria collettiva come una ferita non rimarginabile. Immedesimarsi in chi l’ha vissuto toglie il fiato, un dolore che sembra insopportabile, non proporzionato ad esseri umani:

“La mia famiglia è sotto quelle macerie, li sentivo gridare fino a ieri, ora non più, si sta scavando troppo piano”. “Gli ospedali sono invasi da feriti, dobbiamo decidere chi salvare e chi lasciar morire”. “Il cellulare di mio figlio ha smesso di suonare”.

In questa desolazione si è fatta strada una notizia inaspettata, definita un miracolo da quasi tutti i giornali che l’hanno riportata. Un breve video la documenta: dalle macerie di una casa di cinque piani crollata dieci ore prima è stata estratta viva una neonata, partorita là sotto dalla madre che poi (o prima?) è morta: dal culmine di una montagna di pietre e cemento improvviso esce correndo un uomo tenendo tra le mani una piccola bambina incredibilmente nuda in quel freddo intenso. Ma viva.

Siamo a Jandairis, in Siria, e la gente attorno esulta, subito qualcuno accorre con una coperta, poi il video finisce. La bambina è giunta viva in ospedale nonostante l’ipotermia, le contusioni, la permanenza di dieci ore sotto una casa che le è crollata addosso e che ucciso madre e padre, fratelli ed altri parenti. “Abbiamo sentito un vagito e sotto una coltre di detriti è stata trovata questa piccolina, grazie a Dio” ha dichiarato un soccorritore.

La bimba era ancora collegata con il cordone ombelicale a sua madre che anche da morta le garantiva la vita. Suscita un misterioso stupore questo passaggio di esistenza che potente si è trasferita all’essere più indifeso, la sua forza è stata proprio la madre che l’ha difesa fino all’ ultimo respiro, regalandole letteralmente la vita. Ha offerto alla figlia tutto quello che aveva senza trattenere nulla. Nessuno potrà raccontare cosa si è svolto sotto quelle macerie crollanti, tra schianti e stridore di vetri infranti, urla e disperazione, come si sia svolto il parto, se la madre sia morta cosciente di aver partorito mentre migliaia di vite venivano spezzate nello stesso momento.

Nessuno, i morti non parlano e la piccola non ricorderà.

Ma i sopravvissuti glielo ricorderanno, le ricorderanno che è nata affermando la vita nel momento della morte; mentre il mondo attorno non era altro che rovina e dolore, lei ci ha parlato della felicità di essere una creatura viva, ci ha detto che non c’è forza più persuasiva e desiderabile della vita. Che questo imporsi imperioso dell’umanità interessa tutti, è patrimonio comune: le urla e gli applausi dei soccorritori che hanno celebrato il miracolo della vita, la sua magnificenza e preziosità, ne sono la testimonianza.

Ogni madre inconsciamente è disposta a sacrificarsi per una figlia o un figlio; questa madre, aspettando testardamente che la figlia venisse alla luce prima di esalare l’ultimo respiro, mai avrebbe immaginato il come. Ultimato il compito della madre è iniziato quello della figlia: il suo vagito è arrivato da sotto le macerie come le voci dei tanti che fanno sapere di essere ancora vivi.

Colpisce il destino, quello della bimba partorita in extremis, partorita due volte, uscita prima da un utero di carne, poi da uno di macerie. Adesso, nell’ospedale di Afrin, in una piccola incubatrice è adagiata una neonata, come tante altre, che non sarà abbracciata da chi l’ha cresciuta nelle sue viscere, non sarà allattata né tirata grande da chi l’ha sognata e desiderata per nove mesi, che non avrà né padre né madre ma troverà mani e cuori altrettanto teneri e amorevoli.

Con la sua nascita ha testimoniato la bellezza della vita su questa terra e nessuno, con quell’istante di gioia sincera, di luce tra le tenebre ha potuto negare l’ammirazione per un destino che prendeva il volo.

Come scrive Vasilij Grossman ne La Madonna Sistina: “La forza della vita, la forza di ciò che vi è umano nell’uomo è una forza immensa e la violenza più estrema non può soggiogare questa forza, perché può solamente ucciderla”.

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