Spopolano due tiktoker napoletani, Rita De Crescenzo e Napolitano Store, per il loro show nell’ufficio del consigliere regionale Di Fenza
Impazzano in questi giorni le immagini di due noti tiktoker napoletani, Rita de Crescenzo e Napolitano Store, nella loro discutibile performance all’interno dell’ufficio di un consigliere della Regione Campania. Uno dice di aspirare a diventare sindaco della terza città d’Italia e l’altra addirittura ministra del Turismo.
Ci potrebbe scappare una risata fragorosa, se non ci fosse da piangere. Perché sembra che facciano sul serio.
Da più parti si grida allo scandalo e si prendono le distanze. Il mondo, soprattutto politico, si indigna in maniera bipartisan (o quasi). Ma ormai è troppo tardi, il danno è fatto. Il re, ormai, è nudo.
La mala politica ha smascherato sé stessa, sono caduti i veli e l’immagine autentica di quel che resta è squallida e deprimente.
Personalmente non ravviso nulla di strano e di imprevedibile nell’aspettativa di candidatura di due persone che vantano un seguito importante sui social e pensano di funzionalizzarlo ai propri interessi.
Non è la prima né sarà l’ultima volta. È da tempo immemore che i responsabili di partito preferiscono affidarsi al “fenomeno” di turno per raccattare un po’ di voti all’ultimo momento. È uno degli effetti collaterali della crisi dei partiti, incapaci per lo più di sviluppare scuole di formazione e di esprimere serie e avvedute classi dirigenti e linee di pensiero serie.
Assistiamo da tempo ad un’inesorabile discesa e prima o poi si doveva arrivare al fenomeno “Rita De Crescenzo”. E forse non siamo ancora al livello più basso.
Si dirà che è un degrado eccessivo anche per lo stato comatoso della nostra politica attuale. E forse lo è, ma, onestamente, non sorprende che ci siamo arrivati.
È accaduto probabilmente in modo troppo spudorato ed eclatante, quasi da apparire offensivo. In realtà è solo il frutto di una scelta e di una tendenza, ormai in voga da tempo.
Che differenza c’è tra questi due pittoreschi personaggi e una moglie di un capo di partito o un figlio del politico di turno, evidentemente indicati, almeno in prevalenza, per la loro utile parentela? Oppure, che cosa cambia rispetto al menestrello del web, agli indicati nelle piattaforme digitali senza arte né parte, o rispetto ad una maestra eversiva accusata di aver picchiato i poliziotti, o prima ancora ad una pornostar o ad un finto sindacalista?
Non c’è più neanche da rispolverare la sempreverde questione morale, perché ormai di lontanamente etico non c’è davvero rimasto più niente.
C’è da constatare amaramente solo a cosa ha portato questa deliberata e diffusa scelta politica. E sperare che non finisca per contagiare la residua parte sana. E forse ci possiamo chiedere ancora se a chi è convenuto tutto questo.
La politica una volta era considerata un’arte nobile e difficile, che non può essere improvvisata. La politica – come sosteneva Aristotele – è il mezzo più alto per far comprendere all’uomo chi egli è e quali siano le proprie capacità: “Per vivere da soli si deve essere una bestia, o un dio o un filosofo, ma l’uomo è tutt’altro, egli è per natura un animale politico”.
E la politica è la scienza che guida alla felicità, definita come la realizzazione del bene comune all’interno della polis, la città-stato.
Se guardiamo le immagini dell’altro giorno in Consiglio regionale a Napoli, qualcosa deve essere andato storto. Ma oggi è troppo facile prendersela con quei due, che sono solo gli ignari attori di questa farsa tragicomica a cui si è ridotta gran parte della politica.
Pensiamo a quanti illustri interpreti può annoverare, dai portatori di lanciafiamme ai sostenitori della follia per cui “uno vale uno”.
Questo non significa che per fare il ministro della Salute ci vuole necessariamente un medico, o che il ministro della Giustizia debba necessariamente essere un magistrato. Ma occorre, almeno, sempre individuare persone potenzialmente capaci e responsabili.
E la responsabilità in politica significa prima di tutto saper far bene il proprio mestiere, nella fattispecie avere qualità come la facoltà di sintesi, la visione d’insieme delle cose, la capacità di mediare fra gli interessi privati e quello generale, la virtù di essere convincenti, ma soprattutto la capacità di decidere, di intervenire nella società per cambiare le cose che non vanno e la costanza di realizzare gli obiettivi che ci si è prefissati, non appiattendo la propria azione sul consenso immediato. Tutto ciò passa spesso da una corretta individuazione dei propri collaboratori, che vanno scelti con criteri affidabili e verificabili.
In questo, forse, per alcuni ambiti occorrerebbe un po’ di esperienza del settore e conoscenza di certe dinamiche.
Non avendo cognizioni tecnico-scientifiche, difficilmente sarei in grado di selezionare un buon ingegnere strutturista, o di comprendere, come sta accadendo a Milano, che certe procedure sono un po’ forzate, se non decisamente illegali. E dovrei affidarmi, quindi, quasi al buio, a chi ne capisce di più, nella speranza che sia veramente preparato, integerrimo e non influenzabile. Così come, invece, essendo un giurista, potrei capirne di più di appalti e lotta alla criminalità.
Senza le giuste capacità si passa dalla ragionevole aspettativa di successo alla speranza di non fallire. Il passo è rapidissimo e molti recenti avvenimenti del nostro Paese ne sono la dimostrazione inconfutabile.
In un mondo in cui c’è sempre più specializzazione, immaginare di non avere almeno solide nozioni di base alza enormemente il rischio di errore e di fallimento.
In sanità, antimafia, trasporti, scuola, economia, etc. serve gente che ne capisce sennò si fanno guai. Ed all’interno di ognuno di questi settori non basta più essere solo medico, magistrato, ingegnere; devi essere anche bravo.
E sulla bravura, sull’affidabilità delle scelte si giocherà il futuro del nostro Paese, ormai riconosciuto chiaramente in declino su tutti gli indicatori rilevanti: dalle diseguaglianze sociali e territoriali alla denatalità, dall’emigrazione all’estero al rendimento scolastico.
Per non parlare della turistificazione selvaggia, che si sta trasformando da volano di sviluppo in marea devastatrice dei centri urbani di maggior pregio.
Ho citato questo settore perché è la prova che anche i processi potenzialmente positivi vanno governati. Non ci vogliono più turisti, ma più qualità e questa va costruita.
E, allora, in definitiva, buona vita ai nostri simpatici tiktoker, e a tutti quegli altri che già popolano il fantastico mondo della politica. C’è da augurarsi che possibilmente, prima e per tanti anni, popolino il mondo dei libri e i giusti maestri e, prima di mettersi, quando ne saranno degni, al servizio delle loro comunità.
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