TIM/ Gamberale e gli ex manager: perché Draghi non fa come Francia e Germania usando Cdp?

- Sam Wise

Il Sussidiario ha interpellato gli ex manager di TIM Vito Gamberale, Umberto de Julio, Girolamo di Genova, Piero Bergamini e Roberto Pellegrini

Tim-Telecom Lapresse

Abbiamo molto apprezzato l’articoloGoverno a fianco di Cdp e contro l’antitrust Ue per il riassetto di Tim” pubblicato dal Sole 24 Ore del 16 febbraio e scritto da Vito Gamberale, ex Ceo Tim, Umberto de Julio, ex Direttore Rete Telecom Italia, Girolamo di Genova, ex Direttore Mercato Business Telecom Italia, Piero Bergamini, ex Direttore Mercato Retail Telecom Italia, Roberto Pellegrini, ex Direttore Commerciale TIM. Siamo entrati in contatto con gli autori per porre loro alcune domande.

Ci sembra molto importante che questo vostro intervento venga diffuso e approfondito. Questo perché, finalmente, molte questioni sono state presentate in modo concreto e con cognizione di causa. Ci sembra che la prospettiva che avete affermato sia quella del bene comune: siete stati mossi dalla domanda di cosa serva veramente all’Italia, in questo passaggio epocale del Pnrr e della trasformazione digitale.

Partiamo da un’osservazione: molti giornali o siti specializzati hanno ripreso il vostro intervento, naturalmente era impossibile far finta di nulla, se non altro per il fatto che viene da un gruppo di autorevoli ex-manager di Telecom Italia. Ma – ci sembra – nessuno ha provato ad approfondirlo, a tirarne le conseguenze. Come se ormai le scelte siano già state fatte e non si possano più ridiscutere. Voi cosa ne pensate?

Obiettivo del nostro articolo era proprio quello di stimolare una discussione, aperta, trasparente che coinvolgesse tutte le parti interessate al futuro di TIM. I sindacati si sono mossi con decisione con lo sciopero del 23 febbraio, da alcuni partiti sono arrivate dichiarazioni di circostanza. Sembra che non ci sia nessuna intenzione di affrontare i problemi che affliggono, ormai da anni, non solo TIM, ma tutta l’industria delle telecomunicazioni del nostro Paese e che riguardano l’assetto complessivo del settore e la politica delle Autorità di regolamentazione. A partire dall’eccessiva concorrenza, specialmente nel mobile, che ha determinato un continuo, drammatico, calo dei ricavi e dei margini e quindi la difficoltà a effettuare gli investimenti necessari per lo sviluppo della rete. Per non parlare dell’esistenza di due reti che coprono gran parte del Paese, caso unico a livello europeo e forse mondiale. È evidente che le scelte per il futuro di TIM potrebbero mutare radicalmente se alcuni di questi problemi venissero avviati a soluzione.

Nella vicenda Telecom possiamo riconoscere cinque attori principali: il Governo nazionale, gli azionisti, i sindacati, i dipendenti e i potenziali utenti finali. Ognuno di essi naturalmente svolge un ruolo e un compito distinto. Cosa avreste da dire, rispetto alla vicenda Telecom, a ciascuno di questi cinque attori in termini di suggerimenti operativi?

Tutti i Governi che si sono succeduti, da quello del 1999 che favorì la “calata” dei “capitani coraggiosi” al secondo Governo di questa legislatura, hanno la grande responsabilità di essersi sempre e totalmente disinteressati di Telecom Italia/TIM. Nei fatti, sono stati tutti conniventi e responsabili di quanto è accaduto a questa azienda strategica e protettiva del Paese. Con la sola eccezione di un Ministro, rimasto isolato e inascoltato. Il Governo Draghi oggi sta gestendo con raro impegno il Pnrr per il risorgimento economico e sociale del Paese. Sarebbe veramente strano e contraddittorio se da questo Governo venisse trascurata la vicenda TIM, che sta avendo un passaggio di tornante delicato e definitivo in queste settimane. Questo Governo deve riportare TIM a dignità di Incumbent, mantenendo servizi e reti in un’unica azienda, con la separazione funzionale della rete, come c’è nei Paesi più liberalizzati di Europa, tra cui la Francia. Tutti gli altri, tra cui Germania e Spagna, hanno la rete non separata nemmeno funzionalmente dai servizi, sempre nell’ambito della stessa società. Quindi, il Governo deve dire la sua e deve dare le direttive, esercitando in pieno i diritti della “golden share”.

Gli Azionisti che si sono succeduti sono stati tutti incapaci a gestire quest’azienda. Ognuno ha contribuito ad affossarla ancor di più. Nessuno ha portato nulla. Il disastro Telecom/TIM è figlio della mefistofelica criminalità industriale svolta da talune banche d’affari disinvolte e imprenditori per lo più comportatisi da “prenditori”. Adesso abbiamo avuto l’invasione dei Fondi nelle reti e nella stessa TIM. Sono soci impropri che non hanno nulla da dire e da fare in questa azienda, se non farla a fette e affossarla definitivamente. L’Italia sarebbe il primo Paese al mondo a perdere l’Incumbent! L’unico soggetto oggi che può e deve esercitare il ruolo di Pivot nella ristrutturazione di TIM è Cassa depositi e prestiti (Cdp). La nuova dirigenza di questa primaria Istituzione economica del Paese merita piena fiducia per il delicato compito che dovrebbe affrontare.

I Sindacati sono stati lasciati soli dai Governi, sicché sono stati costretti a un’amara difensiva, negoziando sempre continui sacrifici sociali. Ora hanno iniziato azioni mai fatte prima, tipo il recente sciopero. Hanno chiesto di essere ascoltati dal Governo, ma non ci risulta che abbiano avuto udienza. C’è da augurarsi che i partiti che si candidano a governare il Paese diano loro l’esempio di ascoltare i sindacati, ma anche coloro che hanno opinioni e visioni su questo tema. L’Italia non può sacrificare, anzi uccidere, una delle aziende più strategiche del Paese, tutta la filiera industriale connessa, tutta l’occupazione qualificata e numerosa che ha fatto grande la Telecom e che ha mantenuto in piedi ciò che rimane dopo tante violenze.

I Dipendenti, a cominciare dai manager, sono stati costretti a subire le varie “occupazioni” che Telecom/TIM ha visto. Di certo, al loro interno c’è più competenza dei variegati assetti di vertice operativo che si sono succeduti, tutti accomunati dall’aver ingolfato TIM di decine, se non centinaia, di dirigenti, molti dei quali usciti ben presto, con buona dote. Ci auguriamo che i più coraggiosi, e competenti, dei manager trovino la forza per esprimere la loro opinione, indirizzarla al Governo e alla Cdp e contrastare le idee bislacche che escono dal neo-vertice di TIM.

Gli Utenti Finali non ci sono mai stati come interlocutori. Le coreografiche associazioni dei consumatori sono sparite con l’avvento della concorrenza. I loro obiettivi forse erano altri.

Potete spiegare quali rischi comporti dividere TIM in due aziende, di rete e di servizi, possibilmente, con un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori? Nel vostro articolo, affermate che “separare il servizio dalla rete significa indebolire non solo l’Incumbent, ma tutto il sistema delle Tlc italiane (…) il tema è lo stesso sia per le Ferrovie che per le Tlc, che hanno nella rete non solo capacità, ma intelligenza, in continua evoluzione ed adattamento, per i servizi.” Ci sembra un aspetto molto rilevante: potreste spiegarlo e approfondirlo?

Bisogna innanzitutto ricordare che la rete non è fatta solo di cavi, in rame o in fibra, ma di apparati intelligenti, di hardware e di software, che grazie all’uso di tecnologie sempre più sofisticate hanno consentito agli operatori di offrire nuovi servizi, passando dalla voce ai dati, poi a internet, allo streaming, al video on demand e ancora lo smart working, la telemedicina, l’internet delle cose, domani il metaverso e chissà cosa ancora. E l’interazione è continua, tra sviluppo della rete e offerta di nuovi servizi. Perciò è davvero difficile vedere come possa funzionare bene un modello con due società separate, con azionisti diversi. Un modello concepito più per venire incontro alle esigenze di qualche azionista – o subire una pressione regolatoria dell’Europa che non ha riscontro in altri Paesi dell’Unione – che per una chiara visione di sviluppo industriale. E di questo invece ci sarebbe oggi assoluto bisogno davanti alle sfide della trasformazione digitale.

Dalle anticipazioni giornalistiche sembra che sia il piano industriale del nuovo AD Labriola [n.d.r. le domande sono state formulate prima della presentazione del piano industriale TIM] che il piano del fondo KKR, che nel novembre scorso ha lanciato una proposta “amichevole” di OPA, su cui voi giustamente ironizzate, propongano la separazione tra rete e servizi. Che prospettiva differente invece, potreste indicare per i prossimi anni, naturalmente tenendo conto sia dei vincoli di bilancio aziendali che di quelli normativi statali ed europei?

Dividere un’azienda in più parti in modo da trovare acquirenti o azionisti diversi interessati all’una o all’altra parte è la soluzione adottata molto spesso dai fondi di private equity e suggerita dalle banche d’affari per “estrarre” il massimo valore. Non c’è quindi da stupirsi che questa sia la soluzione suggerita da KKR e che spingano in questa direzione alcuni degli attuali azionisti. L’alternativa è quella di puntare a un diverso assetto azionario in cui il Governo, attraverso Cdp, diventi l’azionista stabile, di riferimento, così come avviene in Francia con Orange e in Germania con Deutsche Telekom. E come avviene in Italia con Enel, Eni, Poste, aziende strategiche per il futuro del Paese

Infine, avete qualche punto che vi sta particolarmente a cuore e che vorreste sottolineare?

Ci auguriamo che TIM entri nel piano di rilancio del Paese. Ci auguriamo che le responsabilità politiche e istituzionali sappiano interpretare il loro ruolo per quest’azienda che o viene ristrutturata radicalmente o verrà distrutta completamente. L’Italia non merita questo oltraggio.

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