C’è un grado di astrazione eccessivo che regna il confronto politico sul salario minimo per legge. Lo sostiene Michele Tiraboschi, docente al Dipartimento Economia dell’università di Modena-Reggio Emilia, nonché membro del Cnel e uno dei più stretti collaboratori di Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 2002 perché, per conto del governo Berlusconi, stava lavorando alla riforma del mercato del lavoro per introdurre più flessibilità. Tiraboschi è anche coordinatore scientifico di Adapt, l’associazione di studi sul lavoro fondata da Biagi, che ha realizzato un dossier sul salario minimo. “Le numerose proposte di intervento legislativo, che si susseguono con insistenza da dieci anni a questa parte, sembrano infatti non conoscere le reali dinamiche dei trattamenti retributivi nei diversi settori economici e produttivi che sono oggi governate da una ricca e diversificata contrattazione collettiva di livello nazionale“, dichiara nell’intervista rilasciata a Italia Oggi.
Per l’esperto è rischioso sollecitare un intervento legislativo sui salari senza conoscerne l’attuale struttura e composizione. “Le questioni da affrontare e risolvere sono ben più numerose e complesse“. Peraltro, per Tiraboschi le proposte non sono chiare, anche se sembrano voler imporre, oltre all’obbligo di una tariffa minima legale, anche un obbligo ai contratti collettivi di lavoro chiamati a non derogare alla tariffa indicata nella proposta. Ma ciò, spiega Tiraboschi, è “perentoriamente precluso dalla nostra Carta costituzionale che vieta al legislatore di imporre alcun obbligo ai sindacati e conseguentemente ai sistemi di contrattazione collettiva“.
TIRABOSCHI E RAPPORTO ADAPT BOCCIANO SALARIO MINIMO
Stando al rapporto Adapt, la proposta di legge presentata in Parlamento sul salario minimo è un bluff: non serve e non è vero né che la contrattazione è in crisi né che i salari sono fermi. “Rispetto al dibattito pubblico il punto è capire se una materia così complessa possa essere affidata al legislatore, quantomeno con riferimento al nodo dei minimi salariali, o se la materia possa e debba essere ancora affidata a una contrattazione collettiva che è certamente chiamata a legare il tema dei salari a quello della produttività“, afferma Michele Tiraboschi a Italia Oggi. Il componente del Cnel cita una nota del Centro Studi Confindustria, da cui emerge che tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali sono cresciuti del 24,3%, in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro, pari al 22,6%.
Inoltre, la crescita dei salari reali in questo periodo è in linea con quella registrata in Francia (+25,3%) e persino superiore a quella della Germania (+18,1%) e della Spagna (14,4%). Ma in questi Paesi, la produttività del lavoro è cresciuta molto più che in Italia. C’è una fascia di 4 milioni di dipendenti a bassa retribuzione annua, ma non beneficerebbe di una legge sul salario minimo. “Il lavoro povero non è legato a salari contrattuali orari bassi ma al fatto che i lavoratori non lavorano a tempo pieno e non per tutto l’anno. Inoltre, su questi dati potrebbe incidere fortemente il lavoro irregolare“.
“SALARIO MINIMO POTREBBE CREARE UNO SQUILIBRIO”
Per Michele Tiraboschi bisognerebbe intervenire sui contratti di lavoro di breve durata per contrastare il lavoro povero. “La verità è che, nel medio periodo, i salari reali degli italiani si possono alzare soltanto aumentando la produttività, evitando ovviamente che il valore aggiunto venga trasferito altrove“. Pertanto, il problema e la possibile soluzione della questione salariale è nelle mani degli attori del nostro sistema di relazioni industriali e non della politica. Riguardo i livelli retributivi, i dati Istat evidenziano retribuzioni contrattuali orarie lorde da un minimo di 6,15 euro degli operai agricoli con la qualifica più bassa ad un massimo di 56,85 euro per le figure apicali del settore del credito, con un valore medio di 14 euro. Con l’introduzione del salario minimo, ritenuto impraticabile anche giuridicamente, “non si interverrebbe soltanto sui salari dei lavoratori inquadrati nei livelli più bassi ma si finirebbe per creare, più o meno consapevolmente, uno squilibrio che investirebbe, di riflesso, tutti gli altri livelli dei sistemi retributivi contrattuali vigenti“, concludono Tiraboschi e il rapporto Adapt.