Area C di Milano è il più radicale intervento di limitazione del traffico urbano attuato in Italia.
A una settimana dalla sua entrata in vigore i dati dicono che si è ridotto il traffico di circa il 40% (nell’orario in cui si paga l’ingresso) ma non l’inquinamento che, anzi, è addirittura aumentato. Ovviamente i detrattori dell’iniziativa si sono buttati su questi (sconfortanti) risultati, mentri i proponenti si difendono dietro all’osservazione che la Congestion Charge è, per l’appunto, una tassa sul traffico e che l’obiettivo era quello di ridurre le macchine in centro ma non lo smog. Inoltre, come sottolineato da più parti, l’esiguità dell’area sottoposta a tassa di ingresso non consente un miglioramento significativo dell’aria respirata dai milanesi e il traffico si è solo spostato dal centro città ai bastioni.
Al di là di prese di posizione e valutazioni sull’efficacia o meno dell’iniziativa resta una domanda: come migliorare l’aria che respiriamo? La risposta ci viene da Rita Baraldi, dell’Istituto di biometeorologia del CNR di Bologna, che si occupa di studiare la funzione benefica degli alberi per l’ambiente e la salute umana. Se da un lato è esperienza comune e facilmente condivisibile che una maggior quantita di verde migliora la vivibilità delle nostre città, dall’altro non è altrettanto semplice identificare quali siano le piante che meglio possono svolgere la loro funzione “anti smog”.Sì perché gli studi del CNR dimostrano che non tutte le piante sono uguali e non tutte vanno bene per le nostre città per almeno tre motivi fondamentali: innanzi tutto occorre valutare la loro adattabilità all’ambiente urbano, in secondo luogo la capacità di rimuovere inquinanti atmosferici e, infine, di emettere basse concentrazioni di VOC. Iniziamo da quest’ultimo punto, uno dei meno conosciuti e più interessanti della ricerca del CNR. Con VOC si indicano i “composti organici volatili” che ogni pianta produce in quantità più o meno elevate e, soprattutto, in grado di legarsi attraverso reazioni fotochimiche agli ossidi di azoto prodotti dall’attività umana contribuendo alla formazione o rimozione di ozono. Quindi non ci sono alberi che “inquinano”, ma ci sono alcune specie che sono più consigliate di altre proprio per questa loro caratteristica. I VCO, tanto per sgombrare il campo da eventuali fraintendimenti, svolgono un ruolo ecofisiologico fondamentale in quanto per esempio attraggono gli insetti impollinatori o allontanano i predatori e sono responsabili degli aromi che possono essere percepiti in una pineta o in presenza di determinate piante.
Ma l’effetto positivo delle piante non è da ricercare in ciò che emettono, quanto in ciò che sono in grado di assorbire, in primo luogo l’anidride carbonica. La tanto vituperata CO2 è infatti ciò che consente alle piante di vivere, perché grazie al processo di fotosintesi assorbono i carboidrati che costituiscono tronco, rami e foglie (biomassa) e rilasciano ossigeno nell’atmosfera.
Il primo modo, efficace ed economico, per ridurre la CO2 dalle nostre strade è quindi quello di piantare alberi avendo l’accortezza di scegliere quelle che crescono velocemente avendo una maggiore capacità di assorbire CO2. Ma non è tutto. Gli alberi, più che i semplici arbusti, svolgono infatti un ruolo fondamentale di mitigazione dell’inquinamento atmosferico. Come abbiamo nostro malgrado imparato negli ultimi anni non sono solo le sostanze chimiche presenti nell’aria a renderla pericolosa per la nostra salute, ma anche e soprattutto le polveri create soprattutto da traffico veicolare e riscaldamento e conosciute come PM10 e PM2,5. Il PM indica il “Particular Matter” mentre il numero che segue segnala le dimensioni in micron: 10, 5 o 2,5. Particelle talmente piccole da non poter essere trattenute da nessun tipo di filtro (se non in condizioni particolari di atmosfera protetta) e che quindi non solo inaliamo respirando ma che raggiungono i punti dei nostri polmoni in cui avviene lo scambio sangue/ossigeno. Il PM10 è composto da ceneri, prodotti di combusione di vario tipo, pollini vegetali, sabbie fini, frammenti di fibre tessili, pneumatici, prodotti di abrasione del sistema frenante, coperture di intonaci, composti organici e altro; come possono le piante agire positivamente su questi e altri elementi che creano lo smog (parola “londinese” nata dalla contrazione di smell + fog, odore + nebbia)?
Le piante agiscono come veri e propri filtri, perché oltre ad assorbire la CO2 attraverso gli stomi delle foglie possono assorbire anche altri gas inquinanti come ozono, monossido di carbonio, biossido d’azoto e anidride solforosa, anche in questo caso in misura diversa a siconda del tipo di pianta. Non solo. Nei peli o sulle rugosità delle superfici vengono trattenute le polveri fini come il famigerato PM10, completando così la loro funzione di pulizia dell’aria che respiriamo.
Gli studi della dottoressa Baraldi e del suo team puntano proprio a creare un database che possa aiutare le amministrazioni e quanti progettano il verde pubblico per selezionare quelle specie più adatte al tessuto urbano.
Gli studi svolti su diverse latifoglie prodotte nel Cannetese sono stati effettuati utilizzando una strumentazione scientifica sofisticata in grado di misurare proprio l’efficienza di rimozione di CO2 (quindi l’efficienza fotosintetica) e la capacità di emissione di VOC in condizioni standard.Le specie considerate idonee sono, in particolare, il Tiglio selvatico (Tilia cordata), Biancospino comune (Crataegus) e il Frassino (Fraxinus ornus, conosciuto anche come Orniello, Orno, o albero della manna) che vantano elevata capacità di assorbimento della CO2 e nulla o quasi emissione di VOC.
In conclusione, al di là di come procederà Area C, speriamo che almeno parte dei notevoli proventi previsti dalla congestion charge venga investita in piante mangia smog, stavolta davvero a vantaggio dei milanesi e di quanti vivono la città.