Ancora un mese negativo per il mercato europeo dell’auto. In aprile le immatricolazioni nei 27 paesi europei più l’area Efta sono diminuite del 6,5% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, ma i cali evidenziati da Acea (Associazione dei Costruttori Europei di Automobili, di cui è presidente Sergio Marchionne) mostrano che le principali difficoltà provengono dai paesi dove la crisi economica sta colpendo più duramente: Germania e Inghilterra continuano a far registrare un trend positivo (+2,9% e +3,3%) , la Francia perde solamente l’1,9%, mentre l’Italia (-18%) subisce uno dei crolli maggiori insieme a Spagna, Grecia e Portogallo. Facciamo dunque il punto della situazione con Tommaso Tommasi, direttore ed editore del mensile InterAutoNews.
Tommasi, cominciamo con un giudizio generale. Cosa pensa di questi dati?
La situazione che l’Europa esprime non è certamente limitata al settore dell’automobile ma riguarda l’intera economia dell’Unione europea. Chiaramente l’automobile rappresenta una pedina così importante e ha una così grande valenza d’immagine che spesso ci si concentra su questo mercato per valutare i danni che la situazione economica generale sta producendo in termini di posti di lavoro, di gettito fiscale, fatturato e quant’altro.
I dati che stiamo commentando confermano un trend che va avanti da mesi. Crede che si stiano cominciando a notare segnali di una leggera inversione di tendenza?
Segnali ci sono, ma solo in alcuni mercati. Sappiamo che Germania e Gran Bretagna marciano a livello di sicurezza e che anche altri paesi, soprattutto nell’Europa dell’Est, si stanno comportando piuttosto bene. Vale la pena sottolineare inoltre che Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, cioè i paesi che stanno subendo maggiormente le conseguenze della crisi in Europa, sono anche quei mercati che fanno registrare contrazioni a doppia cifra.
A proposito dei paesi dell’Europa dell’Est, l’Unrae, l’Associazione delle Case automobilistiche estere in Italia, ha fatto sapere che ormai la crescita è localizzata principalmente in quelle zone. Come mai?
In questi paesi la situazione è migliore rispetto al resto d’Europa soprattutto perché è presente una motorizzazione molto più concentrata. Solo per fare un esempio, in Italia è presente un parco veicoli di oltre 34 milioni e mezzo di unità, il che indica una saturazione totale del mercato. Ci troviamo dunque in una situazione di sostituzione, non di aggiunta, in cui una persona compra una nuova automobile per darne via un’altra, non per arricchire il circolante, cosa che invece sta avvenendo nei paesi dell’Est.
Secondo lei c’è qualche paese in Europa da cui l’Italia potrebbe prendere esempio?
Senza voler dare giudizi sui governi che si sono succeduti in Italia, è un dato di fatto che nel nostro Paese si è vissuto al di sopra delle possibilità per tanti anni. Stiamo scontando quello che non abbiamo fatto per anni, cioè equilibrare la gestione del Paese, continuando a pagare pegno per tutto quello che è successo. Ogni paese ha la sua storia quindi è difficile dire da chi si possa prendere esempio, ma certamente guardando all’Europa potremmo pensare alla situazione tedesca, dove molte case automobilistiche lavorano e gli stipendi degli operai sono doppi rispetto a quelli italiani. Ma un discorso ovviamente molto più ampio.
E’ possibile pensare a particolari interventi per fermare il calo delle immatricolazioni?
E’ difficile immaginare un intervento che sia generalizzato. Sergio Marchionne, che oltre ad essere a capo della Fiat è anche presidente dell’Acea, l’Associazione dei costruttori europei, sta chiedendo una riduzione della capacità produttiva in Europa.
Come mai?
Solo per darle qualche dato, in Europa c’è una domanda potenziale di 14 milioni e mezzo di vetture annue, ma in realtà se ne producono 22 milioni. Una cifra che dimostra che il 34% della capacità produttiva europea dovrebbe essere tolta di mezzo per ripristinare l’equilibrio tra produzione e vendite. In termini di lavoro, oggi occorrono 9 milioni e 400 mila lavoratori nel settore dell’auto, vale a dire 3 milioni e 200 mila di troppo.
Parlando proprio di Marchionne, crede che Fiat stia facendo registrare qualche segnale di miglioramento?
I dati possono essere osservati da diverse prospettive, ma non si può certamente dire che la Fiat in Europa si trovi in buona salute. L’azienda trae i suoi enormi vantaggi dai successi che sistematicamente fa registrare in Brasile e dalla ripresa impressionante che ha avuto la Chrysler in America: questi due aspetti fanno da contraltare alle forti perdite che la Fiat sta registrando in Europa.
Cosa pensa invece dell’allarme lanciato recentemente dai ricercatori di Quintegia, secondo cui nel 2017 rimarranno solo 1.500 concessionarie di auto in Italia, meno della metà rispetto al 2002, quando erano 3.450?
Questo è un dato di fatto. Inoltre, se è vero che ci vorranno almeno due o tre anni prima di un ritorno all’equilibrio di mercato in Italia, non credo che gran parte degli imprenditori proprietari delle concessionarie abbiano il sostegno economico necessario dalle banche per poter tenere testa al calo del mercato e quindi alle perdite a cui dovrebbero andare incontro. Ritengo quindi che il dato rilevato da Quintegia sia sostanzialmente il riflesso di una realtà esistente.
Cosa pensa pensa accadrà quindi nei prossimi anni?
Credo che l’Italia dovrà portare avanti un mercato di vendite da 1,5-1,6 milioni di vetture almeno fino al 2014. Non è una grande prospettiva, perché per mantenere il sistema attuale delle reti di vendita e di tutto ciò che ruota intorno al settore dell’automobile bisognerebbe avere un mercato vicino ai due milioni di vendite l’anno. Purtroppo non credo che questo potrà accadere almeno fino alla fine del 2013, se non per l’intero 2014.
(Claudio Perlini)