Trump ascolta i russi: USA e Iran trattano per un accordo sul nucleare di Teheran. Ma la guerra contro gli ayatollah è ancora dietro l’angolo

USA e Iran stanno trattando un accordo sul programma nucleare iraniano. Gli americani, per scongiurare il pericolo che Teheran diventi una potenza nucleare; gli iraniani, per vedersi togliere le sanzioni economiche che stanno strangolando la loro economia. L’appuntamento cruciale è per il 12 aprile, come annunciato da Donald Trump durante l’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Netanyahu, anche se la possibilità che il negoziato si concluda positivamente è tutta da valutare.



Gli americani, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri con all’attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, vogliono dimostrare alla Russia, alleata dell’Iran, che stanno assecondando la richiesta di una soluzione diplomatica con Teheran, proveniente proprio dal Cremlino, per passare poi all’incasso sul fronte ucraino. Ma non è detto che all’intesa si arrivi veramente: l’opzione militare, con attacchi di Israele ai siti nucleari iraniani, non è stata ancora accantonata.



Trump, nel suo primo mandato, è uscito dall’accordo sul nucleare iraniano; ora inizia una trattativa per una nuova intesa. Perché questo cambio di strategia?

Anche in politica molti hanno la memoria corta e dimenticano che un accordo con gli iraniani già era stato fatto con l’amministrazione Obama. Trump ne uscì perché, probabilmente, ai suoi occhi gli americani avevano concesso troppo. Non ho particolari simpatie per l’attuale presidente americano, ma credo che in questa situazione specifica abbia ragione: nell’accordo stipulato dal suo predecessore non era prevista la presenza di ispettori americani sul suolo iraniano per controllare che lo sviluppo del programma nucleare fosse solo a fini civili.



Cosa intende fare ora Trump?

Vuole mettersi a tavolino e trovare un accordo serio, altrimenti passerà alla fase 2, quella che ha in testa da molto tempo insieme agli israeliani e che prevede l’azzeramento del regime iraniano.

Perché si gioca questa carta proprio ora?

Questo tentativo di tavolo di pace fa comodo anche ai russi. Anzi, è stata proprio Mosca, a marzo, con il portavoce del Cremlino, Peskov, a dire agli americani che un accordo tra Iran e Stati Uniti sarebbe stato utile e producente. Trump ha alzato la voce con Putin, lamentandosi del suo attendismo nelle trattative per l’Ucraina; ora, con questa mossa nei confronti dell’Iran, vuole far vedere che è disposto a venire incontro alle richieste russe.

Se l’accordo Washington-Teheran andasse in porto, ne beneficerebbero anche le trattative USA-Russia per l’Ucraina?

Penso che il negoziato per l’Ucraina ne beneficerà comunque, anche se l’accordo con l’Iran non si facesse. Per i russi, vedere iraniani e americani attorno a un tavolo è già fonte di soddisfazione.

La Camera bassa del parlamento russo, poche ore dopo l’annuncio di Trump dell’inizio di una trattativa con l’Iran, ha approvato il trattato che approfondisce i legami economici, politici e militari con Teheran. Una tempistica che conferma il sostegno della Russia all’Iran?

Non so quanto la Russia si possa veramente impegnare a difendere l’Iran da un eventuale attacco USA. Certi accordi a me fanno sempre un po’ sorridere, nel senso che c’è sempre un escamotage per non rispettarli. Per soccorrere l’Iran, la Russia rischierebbe troppo.

Cosa chiedono gli iraniani e cosa sono disposti a mettere sul piatto per ottenere un accordo? E cosa vogliono, invece, gli americani?

Gli americani chiederanno sicuramente la fine di ogni appoggio a Hezbollah, Houthi e Hamas e vorranno che l’arricchimento dell’uranio non superi il 20%, rimanendo nei limiti di un uso civile dell’energia nucleare. Chiederanno anche la presenza permanente di ispettori statunitensi nei laboratori di ricerca: mi pare che sia il minimo. Gli iraniani chiederanno la totale eliminazione delle sanzioni, anche se non è detto che la ottengano interamente. Si potrebbe pensare a un meccanismo a scalare per verificare nei fatti la buona volontà degli ayatollah, eliminando le sanzioni vitali per l’economia iraniana e concedendo il ritiro completo delle sanzioni in un secondo momento.

Si arriverà a un accordo del genere?

Ho i miei dubbi. Israele, in questo momento, ha un leader debolissimo, che resiste esclusivamente perché il Paese è in guerra e che cercherà di mantenere il più possibile questa situazione, supportato dalla destra israeliana. Nel momento in cui dovesse scoppiare la pace, Netanyahu dovrebbe affrontare tutte le accuse che pendono contro di lui. Il suo punto di forza è che le sue posizioni coincidono quasi perfettamente con quelle di Trump. Il presidente USA ha imposto i dazi a Israele, ma vengono sopperiti dal costante aiuto monetario che Washington dà a Tel Aviv.

Americani e israeliani potrebbero far finta di aver provato a ottenere un accordo, per poi passare a bombardare i siti nucleari iraniani?

Provano a trattare; tuttavia, secondo me, non sono convinti: hanno già pronto un piano B.

Uno degli obiettivi degli israeliani, indicato da Netanyahu, era il cambio di regime in Iran. Ci hanno rinunciato?

Il problema vero è il regime, che è in mano a un fanatico come l’ayatollah Khamenei. Che si trova a confrontarsi con una personalità come Trump: è difficile che questi due personaggi trovino un accordo. Un cambio di regime in Iran sarebbe auspicabile: la popolazione iraniana non ce la fa più. Agli americani, comunque, interessa far vedere ai russi che hanno fatto la loro parte: se gli iraniani non accetteranno l’accordo, si muoveranno di conseguenza. L’Iran, in questo momento, si può azzerare anche abbastanza facilmente: non può reggere l’urto di USA e Israele. Tanto più che i russi non li sosterranno se non dal punto di vista diplomatico: forniranno (se possono) armi e soldi; in tre anni di guerra in Ucraina hanno speso molto, bisogna vedere che sostegno possono offrire.

Al di là della diatriba se questi negoziati siano diretti, come dice Trump, o indiretti, quindi con la presenza di un mediatore, come dicono gli iraniani, dovrebbero tenersi in Oman. Dopo l’Arabia Saudita per l’Ucraina e il Qatar per Gaza, un altro Paese del Golfo protagonista di un’opera di mediazione. Come mai questo attivismo dei Paesi arabi?

Stanno cercando di accreditarsi a livello mondiale come Paesi affidabili, che stanno prendendo le distanze dal loro passato, avvicinandosi, almeno per certi versi, al mondo occidentale.

(Paolo Rossetti)

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