Hamas ha sospeso la liberazione degli ostaggi. Netanyahu vuole far finire la tregua. La deportazione dei palestinesi può avvenire solo manu militari
Hamas sospende il rilascio degli ostaggi perché pensa che Israele abbia violato la tregua. Ben Gvir soffia sul fuoco e vuole che si torni alla guerra. Ormai l’esito più probabile della seconda fase delle trattative previste dalla tregua fra Israele e Hamas sarà un nuovo conflitto. Netanyahu non vuole saperne di continuare sulla strada di una possibile pace o almeno del proseguimento del cessate il fuoco. Lo aveva già ipotizzato il quotidiano Haaretz prima che gli eventi precipitassero, ma ora la tregua sembra proprio sul punto di finire. D’altra parte, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, l’idea di Trump di fare di Gaza la “Riviera del Medio Oriente” (anche acquistandola) non fa altro che confermare le intenzioni del premier israeliano: la deportazione dei palestinesi, viste le reazioni dei residenti della Striscia e di tutto il mondo arabo, non potrà avvenire se non con la forza militare. E allora tanto vale tornare a combattere. Intanto Trump, che non riconosce il diritto dei palestinesi a tornare nella Striscia una volta trasferiti, minaccia Hamas: “Sarà un inferno”. E ipotizza di togliere gli aiuti a Egitto e Giordania.
Hamas sospende la liberazione degli ostaggi prevista per sabato e mette in forte dubbio la prosecuzione della tregua. In realtà Netanyahu già da prima sembrava aver deciso di tornare a combattere. Come può giustificare questa posizione il premier israeliano?
La conferma delle sue intenzioni veniva anche da fonti arabe. Netanyahu, a questo punto, ha tutti i motivi per non procedere con la tregua. Ha avuto carta bianca dal presidente Trump per svuotare Gaza dai suoi abitanti e trasformarla nella Riviera del Medio Oriente, purtroppo deve portare il lavoro a termine.
Probabile, quindi, che si torni alla guerra?
Assolutamente sì. Le dichiarazioni di Trump sono state veramente benzina sul fuoco. D’altronde, lui stesso, quando è iniziata la prima fase di questa tregua, si è mostrato dubbioso sul fatto che sarebbe andata avanti.
Lo svuotamento pacifico di Gaza non è possibile, vista la determinazione dei palestinesi a restare. Quindi annunciare che i residenti si devono trasferire è come dire che si vuole tornare a combattere?
Non solo, ma anche che si vuole procedere a una deportazione, a quello che sarebbe a tutti gli effetti un crimine di guerra. D’altronde, non si capisce neanche sulla base di quali elementi del diritto internazionale, che Trump però non tiene in considerazione, gli Stati Uniti prenderebbero il controllo di Gaza.
L’ultima dichiarazione del presidente americano è che intende acquistare Gaza. È questa la strada che vuole perseguire?
Non si capisce da chi la acquisterebbe: chi sarebbe il proprietario con cui farebbe l’affare immobiliare del secolo?
Siamo al livello delle sue proposte per Groenlandia e Canada?
Trump sembra preso dalla frenesia dello shopping e, laddove lo shopping non riuscirà, probabilmente ricorrerà, almeno secondo le sue dichiarazioni, alla forza militare. Per essere un presidente eletto dicendo che porterà la pace e che gli USA devono pensare soprattutto a se stessi, alla fine è andato a immischiarsi nel problema peggiore di tutti: la questione israelo-palestinese. E lo ha fatto con la delicatezza di un elefante in una stanza di cristallo.
A margine del Super Bowl Trump ha dichiarato: “Gli ostaggi liberati sembravano sopravvissuti all’Olocausto. Non so per quanto tempo ancora potremo sopportare questa situazione. Sai, a un certo punto perderemo la pazienza”. Un’implicita conferma che si tornerà a sparare?
Anche i palestinesi sono stati oggetto di un durissimo regime di carcerazione, soprattutto dal 7 ottobre in poi, anche perché i responsabili delle carceri erano gli elementi più estremisti del governo israeliano. Per quanto riguarda le dichiarazioni sugli ostaggi, sembrano effettivamente aprire al ritorno alle armi. D’altra parte, non sarà possibile utilizzare il mare di Gaza per fini turistici finché Hamas sarà presente nella Striscia. Altrimenti ci sarebbe un attentato suicida al giorno in ogni golf resort costruito da Trump.
Lo scenario che possiamo prospettare in questo momento, allora, qual è?
Per i segnali che registriamo finora, sembrano colloqui dall’esito scontato, che non porteranno a niente. Però non dobbiamo sottovalutare la pressione delle famiglie degli ostaggi rimasti, che non si capaciterebbero del fatto che altri siano stati rilasciati mentre i loro cari rimangono ancora prigionieri di Hamas. Si potrebbe anche portare avanti una tregua fino al rilascio di tutti gli ostaggi. Poi nulla impedirebbe a Israele di riprendere la guerra, così come di catturare tutti i palestinesi che ha rilasciato e rimetterli in prigione.
Se la soluzione immaginata è quella bellica, come mai gli israeliani hanno permesso ai palestinesi di tornare a Gaza Nord e hanno liberato il corridoio di Netzarim?
Non avendo nessuna opposizione, né militare né legale, Israele non si pone questo problema. Se un giorno dovrà chiedere ai palestinesi di tornare a sud o di lasciare Gaza, lo farà.
La deportazione dei palestinesi in Giordania e in Egitto, comunque, è un piano che rimane sulla carta, difficilmente applicabile. Anche la Lega Araba mondiale si è opposta fermamente. Americani e israeliani dovranno imporlo con la forza?
E temo che dovrà essere una forza militare. Non potranno riuscirci esercitando una pressione economica, perché la deportazione dei palestinesi mette a rischio la stabilità e la sopravvivenza dei governi dell’area.
L’Egitto ha ribadito per l’ennesima volta che non potrà assecondare un piano del genere. Anche se si entra nell’ordine di idee di spostare i palestinesi, dove possono metterli se tutti si rifiutano di accoglierli?
Netanyahu, scherzando in un’intervista in televisione l’altro giorno, ha detto che se li potrebbe prendere l’Arabia Saudita. Purtroppo, gli israeliani pensano che, siccome i palestinesi sono arabi, allora basta trasferirli in uno dei Paesi della zona, senza prendere in considerazione minimamente che hanno un’identità nazionale che si è formata lungo i decenni, che si sentono molto legati alla loro terra e non hanno nessuna intenzione di lasciarla.
Non ha senso neanche pensare a un trasferimento temporaneo?
Al di là del fatto che sono i palestinesi stessi che non se ne vogliono andare, altrimenti, con tutto quello che è successo in un anno e mezzo, sarebbero già stati sui confini a premere per lasciare Gaza, la questione è che, se i Paesi circostanti li accettano, anche con tutte le garanzie da parte di Stati Uniti e Israele che prima o poi torneranno, sappiamo dalla storia, che ormai si ripete da quasi 70-80 anni, che in realtà non tornano più. Sarebbe liquidare del tutto la questione palestinese. E questo, moralmente, non è considerato giusto dalle opinioni pubbliche del mondo arabo.
Il problema per i Paesi arabi, quindi, resta non tanto e solo accogliere i palestinesi, ma valutare le conseguenze del loro arrivo?
C’è il rischio che le organizzazioni militanti usino i Paesi in cui saranno trasferiti come basi per condurre attacchi contro Israele. Non solo: nella storia, tutte le nazioni ospitanti sono state destabilizzate. I palestinesi hanno una causa nazionale che vogliono portare avanti e spesso è in conflitto con gli interessi del Paese che li accoglie.
Insomma, al di là dei proclami, per come sono le cose adesso non sembra che Trump possa avere la speranza di realizzare la sua Riviera.
Sembra un piano assolutamente campato in aria. Se si facesse una scommessa sul lungo periodo, tipo cent’anni, lasciando che, mano a mano, i palestinesi svuotino il territorio, potrebbe anche funzionare. Ma non è un progetto che può essere messo in atto in qualche mese, come vorrebbe Trump.
All’orizzonte non c’è nessuna soluzione realistica alla questione palestinese?
No, come è sempre stato, altrimenti la questione israelo-palestinese si sarebbe risolta già tanti anni fa.
(Paolo Rossetti)
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