Ancora a rischio la tregua Israele-Hamas: ecco perché e quali scenari nella Striscia di Gaza tra Usa, Netanyahu e sigla palestinese. Il caos sul 7 ottobre
LA TREGUA, GLI AIUTI E GLI SCAMBI: PERCHÈ L’ACCORDO ISRAELE-HAMAS È A RISCHIO (NUOVAMENTE)
Se per qualche giorno i riflettori del mondo si erano direzionati sull’Ucraina con l’enorme “show” dello scontro Trump-Zelensky, occorre non dimenticare che in Medio Oriente si gioca una partita se possibile ancora più complessa e intricata: Israele e Hamas, per dire, sono nuovamente a rischio rottura della già fragile tregua avviata il 19 gennaio 2025 con l’accordo in tre fasi siglato grazie alla mediazione di Stati Uniti, Egitto e Qatar.
Alla vigilia delle nuove interlocuzioni al Cairo sulla possibilità di proseguire la tregua sulla fase 2 e 3 dell’accordo di estate il fuoco nella Striscia di Gaza, lo Stato di Israele ha concordato con l’alleato americano di poter estendere ulteriormente la prima fase di tregua per arrivare alla piena liberazione di tutti gli ostaggi ancora in mano ad Hamas dallo scorso 7 ottobre 2023.
Con la destra religiosa e parte dell’opinione pubblica che ancora spinge Netanyahu a rimbracciare le armi per eliminare definitivamente la sigla islamista palestinese dalla Striscia, e con le continue provocazioni che la stessa Hamas mette sul tavolo (anche qui per forzare la mano al nemico ebraico e portare l’opinione pubblica mondiale dalla propria parte, come sempre alle spese della popolazione palestinese), l’accordo sulla tregua resta molto fragile e le ultime 48 ore lo hanno confermato. L’inviato speciale per il Medio Oriente dell’amministrazione Trump, Witkoff, ha presentato un nuovo piano per estendere la fase 1 con un cessate il fuoco permanente durante il Ramadan islamico e la Pasqua ebraica.
Come spiega bene in esclusiva al “Sussidiario” Sherif El Sebaie, esperto di geopolitica mediorientale e informato sui vari termini dell’accordo Israele-Hamas, con questa mossa l’alleanza Trump-Netanyahu prova a raccogliere il pieno degli ostaggi liberati mantenendosi eventualmente sempre sul “chi va là” per riprendere la guerra qualora Hamas dovesse muovere altre provocazioni e nuovi “show” propagandistici sulla consegna degli ostaggi. La sigla palestinese ha però rifiutato il piano insistendo sulla necessità di passare invece alla fase 2 che porti gradualmente l’intero esercito israeliano fuori dalla Striscia di Gaza.
GLI SCENARI DOPO IL PIANO USA RIFIUTATO DAI PALESTINESI
Dopo il netto rifiuto di Hamas, la prima mossa del Governo israeliano è stata quella di bloccare sia la liberazione di nuovi prigionieri palestinesi, ma soprattutto il blocco degli aiuti umanitari (via camion e aerei) all’interno della Striscia di Gaza, avviati dopo la tregua di metà gennaio. Netanyahu fa sapere nella giornata di ieri che Israele non potrà permettere la fine di ogni ostilità bellica con Hamas finché non saranno liberati tutti gli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023: la minaccia di Usa e Israele rimane la stessa, o la sigla islamista accetta o ci sarà «l’inferno» per le milizie ancora all’interno della Striscia in gran quantità.
Non solo, davanti all’accusa di Hamas di “crimine di guerra” per la sospensione degli aiuti a Gaza, Israele ha risposto che con l’invio di aiuti nelle ultime settimane vi sarebbero risorse per la popolazione sufficienti per i prossimi quattro-cinque mesi. Hamas la chiama «estorsione» e minaccia nuovamente di non voler rispettare la liberazione degli ostaggi, invocando l’intervento della comunità internazionale per far proseguire l’accordo verso la fase 2 della tregua.
Non solo, minaccia di mettere a repentaglio la vita degli stessi rapiti mentre il popolo di Gaza «muore di fame»: il “balletto” delle accuse rimane ancora intatto nonostante il fragile cessate il fuoco, e forse mai come ora la tregua è a forte rischio dopo la firma del 19 gennaio. Toccherà ancora ai mediatori provare a smussare le posizioni delle due controparti, provando a capire quali potranno essere le prossime mosse dell’amministrazione Trump dopo le forti polemiche sul “piano Gaza” per il futuro della Striscia scoppiate negli scorsi giorni.
CAOS ISRAELE, IL MESSAGGIO SULL’ATTACCO AI KIBBUTZ NON VENNE INVIATO A NETANYAHU ORE PRIMA DEGLI ATTENTATI
Nel pieno della tensione per una guerra che potrebbe riprendere fiato e forza da un momento all’altro, lo scontro fra Israele e Hamas vive di inquietanti rivelazioni anche sui primissimi momenti della guerra, là ove tutto ebbe inizio in quel nefasto 7 ottobre 2023 con l’attacco terroristico delle milizie palestinesi nei kibbutz e nel festival musicale “Nova” nel deserto appena fuori Gaza. Secondo quanto rivelato da Channel 12 nelle scorse ore, citando fonti dirette israeliane, l’Idf avrebbe saputo degli attacchi circa 3 ore prima dell’ingresso di Hamas sul suolo israeliano.
Il problema è che quel report ufficiale non riuscì ad arrivare al Governo Netanyahu, o almeno questa è la versione data dal Governo in risposta allo “scoop” di Channel 12: secondo il Gabinetto di guerra, l’ufficiale dell’intelligence del Mossad che ebbe quell’avviso segreto circa 3 ore prima degli attentati, non trasmise il contenuto al Premier e al Governo, sottovalutando la minaccia in arrivo a Gaza. Solo dopo l’inizio dell’offensiva, circa le 6.30 del mattino di sabato 7 ottobre, intelligence e Idf avvisarono Netanyahu ma ormai era troppo tardi per una risposta difensiva pronta ed efficace.
Ricordiamo che per il fallimento di quell’operazione difensiva, il generale Herzi Halevi si assunse l’intera responsabilità davanti allo Stato ebraico, ma secondo lo scoop dei media oggi avrebbe comunque rivelato il contenuto dell’imminente attacco per tempo, senza però comunicarlo poi pubblicamente per non creare scandalo contro il Governo Netanyahu durante la guerra su larga scala a Gaza. Le opinioni dunque dissentono pesantemente e la verità potrà emergere, solo, al termine delle indagini ancora in corso su cosa avvenne nelle primissime ore del 7 ottobre 2023.