Nel suo discorso all’Onu Donal Trump ha parlato di tutto, dal cambiamento climatico all’immigrazione. Un posto d’onore lo ha riservato all’Europa
Di solito gli interventi dei leader mondiali all’Assemblea generale dell’ONU di fine settembre sono infarciti soprattutto di buoni propositi e luoghi comuni, ma quello ieri di Trump è stato un tale minestrone di argomenti da renderlo scoppiettante. Basti soltanto pensare alle preoccupanti affermazioni che la Nato debba abbattere i caccia russi che sconfinano, o alla possibilità dell’Ucraina di riprendersi i territori occupati dai russi.
Parlando al mondo – sempre, bisogna ricordarlo, con un occhio alla situazione interna USA – e sovrastato dal suo consueto ego smisurato (spesso imbarazzante), il presidente americano ce l’ha avuta quasi con tutti, in più auto-elogiandosi: “Ho avuto ragione su tutto”, uno slogan che non ha mai portato fortuna a nessuno.
Un soliloquio irrefrenabile, tecnicamente ostacolato dal “gobbo” malfunzionante (“È un boicottaggio!?”, si è ovviamente subito chiesto the Donald). Un discorso infarcito da tante bordate per tutti – lui escluso, beninteso – a cominciare da quelle contro l’Unione Europea, che lui dichiara di amare perdutamente, ma che poi ha bombardato di critiche.
Attenzione, perché alcune delle sue accuse sono assolutamente fondate ed è sempre difficile separare il grano dalla zizzania. Su molte questioni, infatti, Trump di ragioni ne ha, per esempio quando ha sottolineato il terribile “cul-de-sac” politico ed economico in cui si è cacciata una Europa che si sta autodistruggendo.
A parte politiche energetiche, green ed immigrazione, Trump ha infatti sottolineato una grande verità: l’Europa non ha una linea chiara ed univoca su molte questioni ed è incoerente nel muoversi contro la Russia, sottolineando il “Ma chi ve lo ha fatto fare?”.
Va ricordato che dietro ad ogni frase di Trump c’è sempre un retro-scena o meglio un interesse politico o commerciale americano. Laddove dunque afferma che l’Europa deve rinunciare completamente alle forniture energetiche russe, il risvolto obbligato di questa scelta è che i nuovi accordi di fornitura vanno fatti – ovviamente – con gli Stati Uniti.
Lo stesso vale per il capitolo immigrazione, dove il presidente doveva comunque sottolineare a fini interni (ed auto-intestarsi) questa sua obiettiva vittoria di chiusura delle proprie frontiere, forse esagerando la portata dell’ondata che subirebbe oggi l’Europa. Un problema esistente e reale, senza dubbio, ma che non va però così enfatizzato.

L’insegnamento che gli europei dovrebbero piuttosto trarre dall’arringa roboante di Trump è che, se il tycoon punta sempre prima di tutto sugli interessi americani, forse lo stesso dovrebbero cominciare a farlo anche gli europei, che – a giorni alterni – sono invece libertari o protezionisti. Perché non provare anche a Bruxelles a fare finalmente i “nostri” interessi?
Davvero all’Europa serve una guerra alle porte di casa con il rischio che superi il crinale orientale? Serve all’Europa continuare a fare la mosca cocchiera in campo green, quando oltre il 90% del mondo batte altre strade?
Davvero vale la pena di perdersi su principi teoricamente bellissimi di pace, diritti etici e libertari quando, in concreto, in molte Paesi d’Europa la famiglia è in crisi soprattutto perché senza aiuti efficaci, visti i (pochi) fondi disponibili e per di più dirottati ad altri fini, non nascono più bambini?
All’Europa conviene continuare in una politica industriale suicida che danneggia in modo irrimediabile interi settori, a cominciare da quello dell’auto e dei trasporti?
Oppure continuare ad imporre caratteristiche costruttive agli edifici che altrove sarebbero considerate follia e che in Europa fanno sorridere solo progettisti e aziende del settore?
Così come insistere nel continuare ad aiutare e finanziare le agricolture altrui – perché siamo bravi e buoni, ed aiutiamo Paesi “poveri” – che poi però, appena possibile, poi ci fanno concorrenza o soprattutto comprano prodotti e manufatti dai nostri concorrenti (e proprio a loro cedono materie prime e terre rare).
In Europa stiamo andando a zig zag, ma soprattutto senza una rotta che dovrebbe essere semplicemente quella dell’“interesse europeo” puro e semplice.
Crediamo davvero che USA, Cina, Russia, Brasile e gli altri maggiori Paesi del mondo lavorino sulla base dei principi astratti del “mercato” – quegli stessi principi che si trovano scritti nei trattati europei – quando invece sarebbero ben lieti di eliminare un concorrente?
Se leggiamo in questo senso le sparate di Trump, forse qualche ragionamento utile possiamo ricavarlo.
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