Trump: documenti rivelano pressioni su Kiev per accogliere deportati anche durante la guerra e senza aeroporti operativi e con i raid in corso

Secondo documenti esclusivi consultati dal Washington Post, all’inizio del 2025 – mentre l’Ucraina affrontava l’invasione russa – diplomatici statunitensi dell’amministrazione Trump avrebbero chiesto a Kiev di accogliere cittadini di paesi terzi espulsi dagli Stati Uniti e la richiesta – avanzata da un alto funzionario americano a gennaio – non indicava quanti deportati fossero coinvolti, né prendeva in considerazione la situazione sul campo, con infrastrutture civili distrutte e aeroporti inutilizzabili a causa dei continui raid aerei.



L’iniziativa si inserisce nella più ampia strategia di Trump che puntava a stringere accordi con governi disponibili a riaccogliere migranti irregolari, anche in contesti estremamente instabili; una linea già nota nei suoi anni alla Casa Bianca e fonti interne riferiscono che la proposta fu avanzata mentre l’Ucraina dipendeva pienamente dagli aiuti militari e finanziari statunitensi per contenere l’offensiva russa e che la mossa americana non tenne conto del legame strategico tra i due Paesi, né delle condizioni umanitarie di un Paese già sotto assedio.



L’idea di inviare migranti espulsi in un territorio colpito quotidianamente da missili e senza alcuna garanzia logistica ha suscitato perplessità e aspre critiche tra analisti e diplomatici, che vedono in questa richiesta un’iniziativa scollegata dalle necessità sul campo – più simbolica che realistica – e profondamente discutibile per tempismo e modalità.

Trump e la politica dei deportati: Kiev frena, Washington tace

Nonostante le pressioni, l’Ucraina non diede seguito alla richiesta – due funzionari locali raccontano che la proposta non arrivò mai ufficialmente al governo centrale – un diplomatico si limitò a promettere una risposta che poi non arrivò; fonti vicine all’esecutivo ucraino, inoltre, affermano che non ci furono documenti ufficiali né colloqui formali sull’argomento, facendo pensare che sia stata trattata come una comunicazione di basso profilo, forse per evitarne le conseguenze diplomatiche.



L’episodio racconta comunque la determinazione con cui l’amministrazione Trump tentava di concludere accordi per il rimpatrio dei migranti, anche con Paesi già travolti dalla guerra – una politica già vista in altri contesti dove promesse di sostegno economico o cooperazione erano usate come leva; in Ucraina però il contesto era e resta critico con tutti gli aeroporti chiusi, milioni di persone sfollate e il Paese ancora sotto attacco.

Se da parte americana non sono arrivate smentite né conferme ufficiali riguardo le pressioni per le deportazioni in Ucraina, il silenzio istituzionale potrebbe indicare l’intenzione di ridurre l’attenzione pubblica su un episodio che tocca temi delicati, come il rapporto tra aiuti bellici e condizionamenti politici o l’uso della pressione diplomatica anche in scenari di emergenza umanitaria.