Powell dichiara che i dazi di Trump hanno bloccato il taglio dei tassi di interesse. Ma è tutta l’economia USA che sta pagando le scelte del presidente
La grande finanza mondiale sembra ormai avere scommesso più sull’Europa che sugli USA, probabilmente spaventata dalle politiche aggressive di Trump sui dazi. E l’aumento delle tariffe, secondo il presidente della FED Jerome Powell, sarebbe la causa del mancato taglio dei tassi di interesse invocato a più riprese dallo stesso presidente americano.
Insomma, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, le scelte di Trump in materia economica lasciano a desiderare, tanto è vero che ha perso qualcosa nei sondaggi e che in questi ultimi sei mesi l’euro ha guadagnato il 13% rispetto al dollaro. Se non vorrà regalare il Congresso ai democratici in occasione delle elezioni di midterm l’attuale presidente dovrà cambiare politica: anche la riforma fiscale che aumenta il debito pubblico di oltre 3 milioni di dollari potrebbe ritorcersi contro di lui.
Powell dice che senza dazi i tassi li avrebbe già tagliati da tempo, un giudizio condivisa dagli operatori economici americani?
C’è una sorta di distopia politica globale. I leader politici stanno baciando la pantofola di Trump, ma la comunità finanziaria sta cominciando a prendere le distanze da lui. L’euro ha guadagnato il 13% in sei mesi rispetto al dollaro, ma soprattutto lo Stoxx 600, l’indice dei 600 titoli più capitalizzati europei, ha fatto più 20 rispetto allo Standard & Poor’s. Se a questo aggiungiamo che dagli USA sono arrivati verso i fondi europei 50 miliardi di euro in sei mesi, quando l’anno scorso c’era stato l’effetto opposto, con 70 miliardi che avevano preso la direzione degli USA, ci rendiamo conto su cosa stiano scommettendo i grandi investitori del pianeta.
La politica di Trump non è ritenuta affidabile?
Da un lato c’è l’indebolimento del dollaro e i dazi che generano inflazione, dall’altro il Big Beautiful Bill, con oltre 3 milioni di extra deficit: per questo mi aspetto che l’economia americana andrà in difficoltà. Penso insomma che Jerome Powell stia fornendo delle risposte corrette: alla luce di tutto quello che abbiamo appena detto abbassare i tassi in questo momento sarebbe sbagliato.
Gli americani fino a questo momento come hanno giudicato le politiche di Trump?
I sondaggi, in questo momento, remano contro Trump: sta perdendo consenso. Ha preso in mano un’economia che era in piena occupazione e veleggiava al +4%, adesso il primo semestre USA fa -0,5%. Se poi la situazione si tradurrà in un aumento dell’inflazione e in una perdita del potere di acquisto del suo elettorato il consenso nei suoi confronti non potrà altro che peggiorare.
Gli effetti dell’inflazione si vedono già?
E’ aumentata leggermente, ma è ancora presto perché i dazi sono stati annunciati e poi ritirati: cominceremo a vedere qualche effetto nei prossimi due mesi. Accanto a tutto questo c’è il danno di reputazione che il presidente americano ha arrecato al Paese, il che vuol dire che sarà meno facile per gli Stati Uniti finanziarsi a debito. Sono stati il porto sicuro del mondo, ma ora non sono più ritenuti tali.
Musk ha attaccato frontalmente Trump sul Big Beautiful Bill, la riforma fiscale, una polemica che lascia il tempo che trova o è comunque la spia di un malessere diffuso rispetto alle politiche economiche dell’amministrazione?
Musk ha cambiato completamente registro, deve essere successo qualcosa rispetto a qualche operazione relativa al mondo delle Big Tech. È una diatriba fra due personaggi con un ego ipertrofico. La riforma fiscale, comunque, è veramente disastrosa per l’economia statunitense.
Si comincia già a guardare alle elezioni di midterm, vista la situazione Trump ricorrerà al pragmatismo che molti gli riconoscono e cambierà politica per accaparrarsi i voti?
Di solito il presidente in carica non è favorito nelle elezioni di midterm. Nel caso specifico il voto per Trump potrebbe essere pericoloso perché, se perde uno dei due rami del Congresso, la situazione per lui si fa complessa. Il presidente americano, poi, non lo vedo così pragmatico, ma abbastanza confuso.
Diversi analisti giudicano incerta anche la sua linea in politica estera. Ha annunciato in campagna elettorale che non avrebbe impegnato gli USA in nuove guerre e invece ha attaccato l’Iran. Un atteggiamento che a lungo andare influirà anche dal punto di vista dell’economia?
La base MAGA è contro ogni operazione di guerra, per non sottrarre soldi al sostegno dell’economia interna: l’attacco all’Iran, quindi, non vede la sua base favorevole. Ma sul fronte geopolitico non mi pare che Trump stia pagando dazio. Anzi, può vendere come successo l’aumento delle spese militari dei partner della NATO. Potrebbero esserci delle ripercussioni per le evoluzioni della guerra in Ucraina e della situazione israelo-palestinese. In questo momento, tuttavia, non vedo elementi svantaggiosi per Trump: dipende, appunto, dalla piega che prenderanno gli eventi. I prezzi dell’energia non sono cambiati, ora i mercati non pensano che ci possano essere grandi sconvolgimenti da questo punto di vista.
(Paolo Rossetti)
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