Per modulare lo sviluppo del turismo, l’industry italiana con le più importanti performances e un valore di prodotto che supera i livelli del pre-pandemia (oltre il 13% di Pil), servono strategie, programmazione, governance. Sembrano questi i cardini sui quali far girare un sistema ancora troppo ancorato alle inerzie dei mercati, ma soprattutto frammentato e soggetto alle opacità di policy, confuse tra le competenze del nuovo ministero con portafoglio e quelle delle amministrazioni regionali, investite dalla riforma del titolo V della Costituzione votata da un referendum nel 2001. Per non dire delle attività di un’infinità di altri enti locali, organizzazioni pubbliche, private o miste, che contribuiscono a creare sperequazioni tra territori e una sostanziale mancanza di uniformità di rappresentazione del brand Italia. Basti ricordare che da regione a regione il sistema di rating-star delle strutture alberghiere può seguire parametri anche molto diversi: un hotel 4 stelle in Campania, ad esempio, potrebbe averne 3 o 5 in Puglia. Con l’ovvia incertezza dei turisti, specie quelli stranieri.
S’è discusso anche di questo al recente workshop milanese “La condivisione delle informazioni per lo sviluppo del turismo”, organizzato nell’ambito del progetto di ricerca “Il ruolo glocale dei soggetti istituzionali e funzionali nello sviluppo del territorio”, coordinato da Associazione Globus et Locus, scaturito l’anno scorso proprio da Globus et Locus, con il contributo di Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. “Un incontro che vuole raccogliere spunti ed elementi per sviluppare proposte di governance in grado di rispondere ai cambiamenti in atto nel sistema turistico con soluzioni e prospettive operative, non meramente accademiche” ha puntualizzato Lanfranco Senn (Università Bocconi), moderatore del workshop, ricordando anche la scarsa condivisione dei dati disponibili tra gli attori dei sistemi turistici, che rappresenta un forte ostacolo alla cooperazione. Il team di ricerca, sulla base delle esperienze e degli spunti emersi nella discussione, avrà il compito di immaginare modelli di governance in grado di definire forme di cooperazione più ampie e più intense di quelle attualmente in corso, facendo fare un balzo di competitività al sistema turistico nel suo complesso.
Si è partiti dall’inizio, dalle conflittualità che impattano nel sistema turistico (evidenziate da Mara Manente dell’Università Ca’ Foscari). Si tratta di (almeno) cinque temi: la presenza di differenti obiettivi e di interessi spesso confliggenti tra loro (ad esempio l’impatto del turismo di massa sui residenti); le problematiche inter-temporali di gestione delle risorse (ad esempio la diffusione degli affitti brevi; la non corrispondenza tra la ripartizione dei benefici e dei costi del turismo; la difficoltà di definire e gestire modelli di turismo equo e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale; la frammentazione delle competenze e della generale assenza di coordinamento e coerenza nella governance dei sistemi turistici. Un punto, quest’ultimo, rimarcato da molti partecipanti al workshop, come Franco Baraldi (Camera di Commercio Bologna e Bologna Welcome), secondo il quale la governance del turismo è ostacolata dalla quantità degli attori coinvolti. “Sarebbe utile – ha detto – avere dei cruscotti dinamici in cui tutti possano accedere a dati aggiornati e certi sulle dinamiche turistiche e sul loro impatto, per poter programmare meglio l’offerta e innalzare la qualità tramite il monitoraggio di indicatori di obiettivo definiti in accordo tra gli attori”. Niente di astruso, si tratta dell’accesso e della diffusione dei big data di settore.
Interessanti i dati di un progetto europeo che ha indagato le questioni legate all’impatto del turismo sulle aree urbane, anticipati da Loris Servillo (Politecnico di Torino). Il turismo urbano è in forte crescita, e genera crescenti conseguenze sulle città, soprattutto in termini di esclusione sociale: precarizzazione del lavoro, aumento dei disequilibri tra aree centrali e aree periferiche, nuove conflittualità per quanto riguarda l’accesso alla casa (ad esempio tra residenti, turisti e studenti) e l’uso degli spazi urbani (evidente nei luoghi della movida). Spesso non sono presenti strumenti di governance in grado di includere tutti gli interessi coinvolti e di favorire la loro conciliazione, né si hanno a disposizione dati in grado di restituire una rappresentazione precisa dei fenomeni in corso. È anche vero, però, come ha ricordato Giuseppe Tripoli (Unioncamere), che i dati relativi alle dinamiche turistiche diventano rapidamente obsoleti e hanno quindi scarsa predittività. Per ovviare a tale problema il sistema camerale sta mettendo a punto un sistema di raccolta e analisi dei dati turistici che mira a consentire un monitoraggio costante del sistema di domanda e di offerta, ricavandone indicazioni utilizzabili dagli operatori.
Ma altre forme di cooperazione sono già state varate. Come la Fondazione Sistema Toscana (ricordata da Francesco Palumbo), un sistema di intelligence del turismo, e la piattaforma Tuscany Together, che consente di raccogliere informazioni da tutti i territori e di rielaborarle diffondendo informazioni aggiornate e conoscenze utili alla produzione delle policies. O come Milano&Partners (citata da Marco Minicucci), una Destination Marketing Organization, associazione fondata da Comune di Milano e Camera di Commercio che sta costruendo tramite forme di partenariato pubblico-privato un data marketing hub comprendente analisi, raccolta e commercializzazione di dati da fonti diverse. O ancora l’Osservatorio del Turismo Regionale Federato realizzato in Veneto per ovviare alla scarsa disponibilità e qualità dei dati statistici accessibili agli operatori e ai soggetti pubblici locali (sottolineato da Stefan Marchioro).
L’Osservatorio, che conta 45 soggetti partner, gestisce una specifica dashboard di Hospitality Data Intelligence realizzata nell’ambito del piano strategico regionale per il turismo, in cui sono messe a sistema informazioni fornite da attori pubblici (destinazioni, centri di ricerca), camere di commercio, operatori alberghieri, turistici e commerciali, gestori aeroportuali, per fornire informazioni complete e aggiornate sulle dinamiche in atto, capaci di elaborare indicazioni predittive: un compito che nessun attore pubblico potrebbe portare a termine da solo. Ma esperienze simili sono in corso in altri territori (ad esempio in Piemonte e in Valle d’Aosta), realizzando buoni risultati anche per quanto riguarda la diffusione della “cultura del dato”.
“In questo senso – ha detto Marchioro – un osservatorio nazionale del turismo federato in grado di effettuare sia Data Management che Data Marketing, partecipato sia dalle Regioni che dalle associazioni di categoria e dal ministero, potrebbe costituire un’innovazione preziosa per realizzare economie di scala nell’acquisizione e acquisto dei dati e per comporre analisi estese del sistema turistico che consentano una migliore gestione dei flussi e una migliore programmazione”. È anche vero che “l’importanza dei dati nel settore turistico fa sì che gli operatori siano molto gelosi delle informazioni in loro possesso – ha ricordato Alberto Corti, di Confcommercio -, e restii alla loro condivisione: questo genera però un paradosso, in quanto solo attraverso la messa in comune dei dati disponibili a ciascun attore è possibile ottenere conoscenze utili su un sistema che presenta un’alta complessità, e ricavare indicazioni sulle scelte e sulle preferenze dei visitatori”. Eppure, come sostiene Sabrina Meneghello (Università di Padova) “i dati hanno un’importanza cruciale per consentire operazioni di differenziazione dell’offerta (individuando le differenti tipologie di turisti), estensione dei flussi, destagionalizzazione, tenendo conto dei rapidi mutamenti nella domanda e nelle esigenze dei residenti”.
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