A Kiev la gente è impaurita per i missili che cadono nella notte. Di fronte alla guerra non serve compiangersi, ma chiedersi come interroga la nostra vita

Anche ieri sera, come già da tre mesi, collegamento online con Kiev. Con alcuni seminaristi del seminario Greco-cattolico e alcuni loro amici stiamo leggendo un testo, “Il senso religioso” di don Giussani. Leggiamo, cerchiamo di capire, soprattutto di paragonare la nostra vita con quanto proposto da questo sacerdote, morto con addosso l’odore della santità.



Per i seminaristi la loro vita è segnata, come per gli altri, dalla situazione della guerra, ma anche dalla ricerca della definizione dei contorni della loro vocazione. Sono greco-cattolici, cioè di una Chiesa cattolica di rito orientale e per loro si tratta anche di stabilire, prima della loro ordinazione, se sono chiamati alla verginità consacrata o al matrimonio. Nel secondo caso la decisione coinvolgerebbe anche le loro potenziali mogli, chiamate giustamente anch’esse a verificare se sposare un prete, sia pure secondo il loro rito, legittimamente ordinato.



Tutto ciò mentre per tutti loro è in corso una guerra. Di notte, dicono, è difficile dormire, perché proprio di notte volano missili e droni che non si sa dove andranno a finire. E come non pensare a quelli sui quali andranno a finire?

Stiamo leggendo quella parte del libro che spiega come sia possibile cercare di negare certe domande fondamentali che toccano ogni uomo: “Qual è il significato ultimo dell’esistenza? Perché c’è il dolore, la morte? Perché in fondo vale la pena vivere?”.

In guerra bisogna pensare a come difendersi dal nemico e magari come attaccarlo. Ma c’è ancora tanto tempo, tra un combattimento e l’altro, per riprendere quelle domande.



Ad un certo punto del collegamento sorge in molti la domanda sul perché c’è la guerra. Io dovrei essere quello che deve rispondere. Sono un po’ in difficoltà. Poi però mi viene in mente quello che mi disse quel sacerdote morto con addosso l’odore della santità quando nel 1986 le Unità comuniste combattenti ebbero la bella idea di fare esplodere la mia macchina con una bomba chimica. Mi disse di non compiangermi troppo, perché in fondo, diventando prete, dovevo aver messo in conto anche esperienze di questo tipo.

E poi aggiunse che non dovevo fermarmi alla domanda del perché, a questa in un certo senso avevano già risposto le quattro pagine del comunicato dei terroristi che avevano fatto seguito all’attentato. Mi conveniva piuttosto chiedermi che cosa il Signore mi chiedesse nel farmi vivere questa situazione. Cioè come vivere la mia vocazione.

E questo aspetto della questione forse non è stato indifferente sulla decisione di dare la disponibilità ad andare in missione nell’ex Unione sovietica con la presunzione di essere “in missione per conto di Dio” a convertire i comunisti, quelli veri, storici.

E’ quello che ho raccontato ai seminaristi e agli altri loro amici sperando che questo possa servire anche a loro.

 

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