Dall'inizio della guerra in Ucraina l'UE ha sbagliato tutte le sue scelte politiche. Il ruolo dell'Italia è quello di mediare con USA e Russia
Se avessimo il coraggio di uscire dalle quotidiane polemiche con Trump imparando a vedere i problemi anche dal punto di vista strategico, ci renderemmo conto che la prima conseguenza della guerra in Ucraina è stata l’evidente accelerazione della crisi dell’Europa.
Negarlo è assurdo perché questa crisi è grave e continuerà anche oltre la guerra, sempre ammesso – come tutti speriamo, ma sembra sempre più difficile – che il conflitto si concluda alla svelta.
Nessuno immaginava questa situazione nel 2022, quando quella dell’Ucraina sembrava una crisi di breve durata, ma la guerra ha dimostrato drammaticamente che l’edificio europeo – a dispetto dei proclami e dell’ostentato e falso ottimismo di Bruxelles e dei media – aveva ed ha fondamenta paurosamente fragili.
Non basta fare proclami e moltiplicare le normative: l’entusiasmo europeo si è spento nell’animo di gran parte degli europei, che della UE non hanno più un’idea carismatica ma vedono soprattutto (o soltanto) l’aspetto economico legato alla gestione dei contributi e dell’euro.
Siamo fragili e dipendenti dal punto di vista energetico e l’ambizione di chiudere i rubinetti del gas russo si è scontrata con le conseguenze di questa scelta idealmente perfetta, ma disastrosa per i maggiori costi di approvvigionamento in molti Paesi europei.
In questa situazione di emergenza decidere poi di fare del Green Deal una bandiera è stato doppiamente assurdo e ridicolo, perché queste cose non si attuano in tempo di crisi, visto soprattutto la poca influenza che le decisioni UE hanno sul clima mondiale. L’effetto è stato quello di mettere ulteriormente in crisi l’industria del continente, mentre l’“autarchia” energetica non è concretamente possibile ancora per diversi anni.
Ma la crisi europea è innanzitutto politica.
L’UE continua ufficialmente ad autodichiararsi compatta, ma visibilmente non lo è più: la guerra ha messo in drammatica evidenza le diverse priorità dei vari Paesi.
Bruxelles ha generosamente appoggiato l’Ucraina, convinta che Putin si sarebbe presto stancato e che, sfiancato dalle progressive sanzioni, avrebbe patteggiato uno stop. Un errore strategico e politico enorme e progressivo, perché ci si è dimenticati che i russi hanno alle loro spalle una storia millenaria di sacrifici, ma anche una fonte quasi inesauribile di risorse naturali e – in un mondo energivoro – avrebbero trovato (come è avvenuto) nuovi clienti e quindi fornitori di armi.
Di fatto Mosca oggi è alleata con il mondo, e non solo quello dei BRICS, mentre i Paesi del G7 invece annaspano davanti alla concorrenza economica, demografica, perfino militare di un mondo capovolto rispetto anche solo all’inizio del secolo.
Riascoltare le dichiarazioni della von der Leyen, che tre anni fa annunciava al parlamento europeo (applaudita!) che i russi erano costretti a smontare lavatrici pur di recuperare microchip oggi fa rabbrividire; lo stesso accade se si va a recuperare le dichiarazioni di Draghi, secondo il quale Putin sarebbe crollato per le sanzioni. Conviene ancora fidarsi della lungimiranza di questi personaggi?

Conseguenza immediata è intanto che l’Europa è davvero diventata marginale, “inutile” (o quasi) sul piano mondiale, mentre alla lunga la guerra sta consumando molte nostre risorse senza risolvere nulla. Putin non cede e non cederà sul Donbass perché non può permetterselo, e l’Ucraina, superato il primo entusiasmo, è semplicemente ripiombata nei vizi di sempre, ovvero quelli di una nazione corrotta, che capitolerebbe se alle spalle non avesse gli aiuti occidentali.
L’Europa, che all’inizio ha rifiutato di discutere con Putin, dimostrando molta supponenza, oggi si trova davanti ad un’alternativa: o si svenerà per prendere il posto degli USA in Ucraina, senza risolvere niente, oppure dovrà prendere atto di questa crescente emarginazione, nonostante la NATO cerchi in ogni modo di spingere a combattere.
Su questa crisi è piombata un anno fa la vittoria di Trump, che ha semplicemente capito la realtà: non è interesse strategico degli USA litigare all’infinito con la Russia, lo è piuttosto lasciare l’UE libera di decidere il suo destino, diventando – possibilmente – cliente fissa dell’industria bellica americana.
In Europa continuiamo a non renderci conto che sono passate tre generazioni dallo sbarco in Normandia e che oggi rappresentiamo meno del 10% di un mondo che non ha più bisogno di noi considerandoci spesso vecchi, superati, buoni magari per il turismo ma ben poco interessanti per il resto. Certamente l’Europa rappresenta un mondo migliore per senso democratico, pulsioni ecologiste, tutele sociali, ma in un mondo globalizzato l’UE non può reggere la concorrenza salvo che in alcuni settori marginali.
Abbiamo perso l’occasione storica di inizio secolo per stabilire una relazione costruttiva con Mosca unendo due sistemi che erano complementari e ora ne paghiamo il conto. Possiamo considerarci più belli, evoluti, civili degli altri ma scagliandosi quotidianamente contro Trump l’Europa non ha capito che il presidente americano di oggi passerà, ma gli USA non torneranno indietro chiunque sarà il nuovo presidente, perché è l’Europa ad avere bisogno dell’America e non viceversa: i mediocri politici europei dovrebbero prenderne atto.
Per questo chi scrive vorrebbe che l’Italia in questo contesto europeo richiamasse con più forza Bruxelles alle sue responsabilità, invitando ad uscire tutti dall’equivoco, proponendosi come “ponte” tra Washington, Bruxelles e Mosca.
Per l’Europa conta di più l’idealità di difendere il principio di una guerra ad oltranza al cattivo Putin aggressore o trovare una formula di cessione onorevole del Donbass, salvare e garantire il resto dell’Ucraina tentando, nella misura del possibile, di rilanciare il continente? Non è disfattismo parlare di crisi europea, semmai è prendere atto di una triste verità.
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