Dopo l'impugnazione da parte della giudice di San Francisco, la Corte Suprema USA ha revocato lo stop ai licenziamenti federali da parte di Trump
Si è chiusa a favore del presidente USA Donald Trump l’ennesima battaglia (dal sapore politico) che da un tribunale statale è finita sui banchi della Corte Suprema, questa volta provando a interrompere l’ampia e diffusa campagna di licenziamenti federali che il tycoon – e prima di lui l’ufficio DOGE, un tempo guidato dall’amico/nemico Elon Musk – aveva intrapreso immediatamente dopo il suo insediamento alla Casa Bianca.
Per comprendere meglio l’intero argomento, prima di arrivare al parere vincolante della Corte Suprema è utile ricordare che lo scorso febbraio (appunto, poche settimane dopo il suo insediamento), Trump aveva promesso “una trasformazione critica della burocrazia federale” che sarebbe passata da una revisione del funzionamento dei tanti uffici federali – specialmente quelli non allineati alle sue opinioni politiche – e da una massiccia campagna di licenziamenti di massa.
Complessivamente, erano stati coinvolti (tra i più importanti) i dipartimenti dell’Agricoltura, del Commercio, della Salute, di Stato, del Tesoro e degli Affari dei Veterani, ma ad oggi non è ancora chiaro né quanti licenziamenti siano effettivamente stati impartiti, né la portata economica per il budget federale dell’ordine presidenziale; mentre come per tutti gli altri argomenti “scottanti”, numerosi stati – specialmente quelli Democratici – avevano mosso da subito una dura battaglia alla campagna del tycoon.
La battaglia tra San Francisco e Trump sui licenziamenti di massa: la Corte Suprema dà ragione al presidente
Tra i vari giudici distrettuali che hanno impugnato l’ordine del presidente USA, il più importante era stato quello San Francisco – la giudice Susan Illston – che il 22 maggio scorso aveva revocato i licenziamenti di massa lamentando il fatto che “il presidente può ristrutturare in modo sostanziale le agenzie federali solo se autorizzato dal Congresso“: la sentenza aveva – di fatto – bloccato l’ordine presidenziale e previsto il reintegro dei dipendenti licenziati, poi tardato dall’impugnazione da parte dell’amministrazione federale.
In Appello, la corte di San Francisco aveva dato ragione alla giudice Illston, sostenendo che i licenziamenti di massa avrebbero prodotto un “danno irreparabile” e che il piano eccedeva “di gran lunga i poteri di supervisione del presidente previsti dalla Costituzione”; mentre il 2 giugno l’argomento è stato portato dal Dipartimento di Giustizia statunitense sui banchi della Corte Suprema con una richiesta d’urgenza che ha già prodotto i suoi risultati.

Secondo il Dipartimento, in particolare, da nessuna parte sulla Costituzione sono definiti limiti al “controllo presidenziale sul personale” federale, sottolineando che il presidente “non ha bisogno di un permesso speciale dal Congresso” per procedere con i licenziamenti; mentre seppur i querelanti hanno provato ad appellarsi al fatto che i “servizi governativi essenziali andranno persi e centinaia di migliaia di dipendenti federali perderanno il lavoro”, alla fine la Corte Suprema ha dato ragione al Dipartimento e ha revocato lo stop ai programmi per i licenziamenti di Trump.
