USA e Russia trattano per riportare gas all'Europa. L'accordo prevede sanzioni allentate in cambio di progressi di pace, ma l'UE è divisa

Stati Uniti e Russia stanno dialogando in segreto per riattivare le forniture di gas russo verso l’Europa, mentre il conflitto in Ucraina continua senza sosta e le diplomazie occidentali cercano nuovi margini per evitare che l’inverno trasformi il disagio economico in crisi sociale: secondo indiscrezioni provenienti da ambienti diplomatici, Washington starebbe valutando la possibilità di allentare alcune delle sanzioni energetiche imposte a Mosca, condizionando tale apertura a progressi nei negoziati di pace o a un cessate il fuoco duraturo e lo farebbe non tanto per avvantaggiare il Cremlino quanto per controllare direttamente i flussi di approvvigionamento e impedire che la Russia possa rivendicare una vittoria politica.



In questo scenario, l’Unione Europea si ritrova stretta tra l’orgoglio di aver ridotto del 60% le importazioni di gas russo dal 2022 e la consapevolezza che un inverno più rigido del previsto potrebbe mettere in difficoltà interi settori produttivi poiché senza quel 40% di fabbisogno energetico coperto da Mosca nel 2021, i costi per famiglie e industrie rischiano di salire in modo insostenibile.



Così mentre Germania e Italia osservano con interesse i possibili sviluppi ricordando la loro storica dipendenza da Nord Stream, la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ribadisce con fermezza la contrarietà a ogni ipotesi di ritorno al passato ma intanto Gazprom fa sapere – per bocca del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov – che Mosca sarebbe disposta a riprendere le forniture, a condizione che le infrastrutture vengano gestite da nuovi attori, lasciando così intendere che si tratterebbe di investitori americani pronti a rilevare quote di Nord Stream o persino della stessa Gazprom, diventando intermediari privilegiati nel grande gioco del gas.



USA – Russia, gas e geopolitica: il ritorno della dipendenza è il prezzo della pace?

Il piano degli USA – ancora avvolto da incertezze e contraddizioni – prevedrebbe due scenari principali: nel primo, società statunitensi acquisirebbero partecipazioni nei gasdotti Nord Stream 1 e 2 – danneggiati nel misterioso sabotaggio del 2022 – oppure in quelli che attraversano l’Ucraina, assumendo il ruolo di gestori diretti del flusso, mentre nel secondo caso si limiterebbero ad agire come trader, acquistando gas dalla Russia e rivendendolo all’Europa con un ricarico commerciale che consentirebbe di aggirare formalmente le sanzioni mantenendo però il controllo operativo e finanziario del sistema.

Ma il timore diffuso è che – pur di garantirsi energia a costi accessibili – l’Europa finisca per finanziare indirettamente il Cremlino annullando gli sforzi compiuti negli ultimi due anni per diversificare le fonti e uscire dal ricatto energetico: nel 2022, l’Unione Europea aveva promesso di spezzare ogni dipendenza, investendo 300 miliardi di euro nella transizione ecologica.

Ma ad oggi – di fronte a un processo che procede più lentamente del previsto – Paesi industriali come la Germania temono di dover fare i conti con la deindustrializzazione e non mancano le voci che – nei corridoi di Bruxelles – suggeriscono che un’eventuale mediazione americana potrebbe garantire gas a prezzi politici in cambio di una tregua, anche se altri ritengono che un simile compromesso costituirebbe un vantaggio strategico per Putin, che potrebbe usare le nuove risorse per finanziare ulteriormente lo sforzo bellico.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen continua a interrogarsi pubblicamente sul rischio di ripetere gli errori del passato ma la risposta – come temono in molti – potrebbe dipendere meno dai principi e più dalla temperatura degli impianti di riscaldamento e dalla disponibilità di Washington a piegare le proprie regole pur di evitare che l’Europa cada in ginocchio davanti all’inverno.