Domani dovrebbe essere approvato il Documento programmatico di finanza pubblica, contenente numeri chiave per la manovra finanziaria

È attesa per domani l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Documento programmatico di finanza pubblica, che fisserà i numeri chiave per la Legge di bilancio. Tra questi una certa attenzione sarà dedicata al rapporto deficit/Pil di quest’anno, che potrebbe essere portato sotto il 3%.

«Sarebbe un passo se non storico sicuramente importante. Rappresenterebbe la testimonianza concreta che il controllo della finanza pubblica è stato condotto in modo rigoroso e coerente con gli obiettivi che ci si era dati», ci spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili.



E quali effetti potrebbe avere?

Significherebbe non solo mettersi nelle condizioni di uscire dalla procedura d’infrazione Ue, ma anche avere la possibilità di attivare la clausola di salvaguardia nazionale del nuovo Patto di stabilità per scomputare gli investimenti nella difesa per un importo fino all’1,5% del Pil.



Più in generale potrebbe confermare, magari attraverso il giudizio di Standard & Poor’s atteso per il 10 ottobre, una maggior affidabilità dell’Italia agli occhi degli investitori. Si accrescerebbe la credibilità del Paese.

L’Italia diventerebbe sicuramente più affidabile agli occhi dell’Ue e dei mercati. Ma il Governo come può riuscire poi a far fruttare questo “capitale” internamente?

Questa è la sfida più importante che si gioca nella composizione della Legge di bilancio per il 2026. Sarà cruciale la mediazione tra le richieste dei partiti della maggioranza dal momento che i buoni risultati conseguiti sul fronte della finanza pubblica non consentono di soddisfarle tutte. Su alcune, quindi, bisognerà fare delle scelte, magari imponendo delle limitazioni oppure un rinvio.



Per esempio, su quali?

Credo che una delle misure più critiche, anche rispetto ai giudizi delle agenzie di rating, sia quella relativa al congelamento dell’aumento di tre mesi dei requisiti pensionistici in base all’aspettativa di vita previsto dal 2027.

Non è da escludere che, per limitare gli effetti sulla spesa pensionistica, il congelamento possa essere limitato solo ad alcune categorie di lavoratori o a coloro che hanno usufruito di uno scivolo verso la pensione. Un intervento che potrebbe essere rinviato è, invece, la detassazione delle tredicesime, anche perché dovrebbe esserci un taglio dell’Irpef in favore del ceto medio.

Il viceministro Leo ha spiegato che il taglio dell’aliquota dal 35% al 33% sarà per i redditi fino a 50.000 euro e si farà in modo di non penalizzare quanti sforano di poco tale soglia…

Maurizio Leo, viceministro dell’Economia, durante una conferenza stampa al termine del CdM (Foto 2025 ANSA/FABIO FRUSTACI)

Come noto, l’obiettivo era di arrivare a una riduzione dell’aliquota fino a 60.000 euro, che avrebbe portato a un beneficio fino a 1.440 euro annui per i contribuenti, anziché di 440, ma non sembrano esserci le condizioni per attuarlo. Peccato perché sarebbe stata la volta buona per dare una scossa importante in un Paese in cui la pressione fiscale resta ancora elevata.

C’è sempre la possibilità di tagliare l’Irpef fino a 60.000 euro nel 2027, anno in cui tra l’altro ci saranno le elezioni.

Sì, c’è questa possibilità, che potrebbe però avere una controindicazione: un intervento a favore di fasce più abbienti a pochi mesi dal voto potrebbe offrire terreno fertile ad alcuni partiti d’opposizione per la propria campagna elettorale. Credo che in ogni caso, come ormai sta diventando una consuetudine nel nostro Paese, quello fiscale sarà uno dei terreni decisivi per conquistare voti.

Confindustria ha evidenziato che tagliare l’Irpef non basta e vorrebbe che venissero destinati alle imprese 8 miliardi di euro. Riuscirà a ottenerli?

Ci saranno probabilmente dei provvedimenti specifici, come il rinnovo dell’Ires premiale, magari con qualche modifica migliorativa, o un nuovo piano di incentivazione degli investimenti delle imprese dopo Transizione 5.0, ma mi sembra difficile arrivare alla cifra chiesta da Confindustria.

Ci sarà anche da capire quante risorse si potranno reperire da un intervento riguardante le banche…

Come l’anno scorso, su questo terreno stiamo assistendo a un balletto sulla tipologia di intervento e sulle cifre che potrebbe garantire. Penso che alla fine una soluzione si troverà, in accordo con l’Abi, ma che non si riusciranno a raggiungere i 5 miliardi di euro ipotizzati dalla Lega.

C’è ancora spazio per il patto sociale di cui si è parlato ancora durante l’estate?

Ci sono stati degli incontri tra Confindustria e sindacati, ma non si vede ancora la possibilità di uno sbocco verso un vero e proprio patto sociale che coinvolga anche il Governo, che pure nei mesi scorsi aveva mostrato la sua disponibilità in merito.

C’è il rischio, quindi, di perdere un’occasione per aumentare la produttività delle imprese e i salari dei lavoratori, al di là di quello che può avvenire ora con i contratti di produttività. Sarebbe importante, in ogni caso, che le imprese aumentassero i loro investimenti in ricerca e sviluppo.

Al di là del rapporto deficit/Pil c’è un altro dato del Documento programmatico di finanza pubblica che sarà importante analizzare?

Sicuramente quello relativo alla crescita del Pil. È altamente probabile che resteremo nel campo dello zero virgola e questo non è certo incoraggiante, anche perché avremo un ulteriore riscontro di quanto il Pnrr non sia riuscito a portare quella spinta all’economia che ci si aspettava al momento della sua approvazione.

(Lorenzo Torrisi)

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