Sta facendo molto discutere la posizione assunta da un giurista e opinionista di primo piano come Sabino Cassese sull’impatto che può avere l’autonomia differenziata delle regioni sull’assetto del nostro Paese. A maggior ragione perché l’ex giudice della Corte costituzionale e già ministro della Funzione pubblica presiede adesso il Comitato che deve individuare i Livelli essenziali delle prestazioni che sono al centro del dibattito culturale e della battaglia politica.
L’affermazione dei Lep – i Livelli essenziali delle prestazioni, appunto – dovrebbe garantire uguali diritti e stesso trattamento a tutti i cittadini italiani, indipendentemente da dove nascono e dove operano. È a tutti evidente, e a parole sono tutti d’accordo, che questo sia il punto di partenza per qualsiasi ipotesi di rafforzamento delle competenze territoriali per evitare che una riforma consentita dalla Costituzione possa creare più danni che opportunità.
Ora, dice Cassese, fissati i Lep, non c’è alcun motivo di temere una spaccatura del Paese. Anzi, una maggiore autonomia può far bene anche alle regioni meridionali purché si mostrino all’altezza della sfida. Il provvedimento all’esame del Senato può tradursi in beneficio per l’intero Mezzogiorno che può trarre vantaggio dall’eventuale nuovo equilibrio venendo fuori dalla sua condizione subalterna. Quindi, poche chiacchiere e rimboccarsi le maniche.
Una posizione, questa, condivisa dal costituzionalista Giovanni Guzzetta che parla di “scossa che può servire al Sud per crescere”. A patto che con coraggio e intraprendenza si approfitti dell’occasione per riorganizzare e migliorare l’intera gamma dei servizi offerti. Insomma, piuttosto che giocare in difesa vale la pena di passare all’attacco e cercare di segnare qualche gol per giocare il prossimo campionato in una categoria superiore.
Può anche essere vero, ribattono gli studiosi della Svimez. Ma perché possano essere assicurate medesime prestazioni sull’intero territorio nazionale occorre stanziare una cifra tra i 100 e i 120 miliardi indispensabile a ridurre i divari. Risorse che non si saprebbe da dove attingere e che il disegno di legge in questi giorni in discussione non prende in considerazione. Se senza soldi non si cantano messe, non è nemmeno possibile introdurre l’autonomia.
Questo spiega l’avversione al progetto – promosso dalla Lega e reclamato da Lombardia, Veneto ed EmiliaRomagna – di molti studiosi e amministratori del Sud preoccupati di perdere terreno e risorse nei confronti di un Nord che si candida a diventare sempre più ricco. Sarebbe la fine dell’unità nazionale. O l’inizio di una nuova forma di colonialismo come paventato da personalità come Massimo Busetta, Massimo Villone e Gianfranco Viesti per citarne qualcuna.
Ora, è abbastanza evidente che il Paese non è esattamente come lo vorremmo. Che la distanza tra Nord e Sud aumenta di anno in anno anziché diminuire nonostante la grande enfasi messa sulla necessità che accada il contrario. Che le risorse a vario titolo immesse nel sistema meridionale non hanno dato i frutti sperati. Che il Mezzogiorno è atteso al varco del giudizio per come saprà spendere i soldi del Pnrr. Che, in definitiva, così come stanno le cose non funzionano.
L’autonomia non rischia di dividere il Paese perché il Paese è già diviso. La qualità dei servizi erogati varia da regione a regione in maniera anche molto accentuata. Le distanze in termini di ricchezza procapite, tasso di occupazione giovanile e femminile e livello dell’offerta sanitaria – per fare qualche esempio – rappresentano altrettante spie del malessere che impedisce all’Italia di realizzare nei fatti quell’unità conclamata sulla carta e a parole.
Il tema da discutere, allora, potrebbe utilmente riguardare il modo di trasformare questa spinta al cambiamento in un’occasione di crescita collettiva: contrastare le pulsioni egoistiche e favorire le aperture all’inclusione, alla collaborazione, allo scambio virtuoso. Certo, al di là della scrittura delle regole occorre che a recepirle, interpretarle applicarle ci siano le persone giuste. È un esame di maturità che riguarda tutti noi.
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