L’ansia del Covid, il timore di aver perso tutto e il dramma di non riuscire a ripartire: oggi sull’Osservatore Romano un ottimo articolo di Francesco Macinanti presenta un autore forse poco conosciuto ma che rappresenta al meglio quel senso di “rinascita” dopo il peso di un’esistenza che sembrava inevitabilmente dalle crisi e guerre dei decenni scorsi. Si chiama Adam Zagajewski, è polacco, ma nato a Leopoli nell’odierna Ucraina nel 1945: «nello scrittore e poeta polacco la forte concezione della vita come concreta battaglia: l’esito non è scontato. La sconfitta è il risultato più probabile, anzi essa è il dato di partenza dell’esistenza. La vittoria, con le sue certezze, non è più raggiungibile. Sconfitta vuol dire scorrere inesorabile del tempo, caducità del presente», scrive l’Osservatore Romano presentando questa figura in questo tempo così particolare e “caduco” come la crisi Covid-19. La sconfitta come esperienza di dolore, di morte, l’esatto di quanto vissuto nei mesi passati della terribile pandemia: eppure, c’è un “eppure” che Zagajewski inquadra pur dopo tutte le esperienze pregresse.
LA CRISI E LA RINASCITA DOPO LA SCONFITTA
Nello stesso giorno in cui si ricorda la morte di Cesare Pavese, un altro autore prova ad inquadrare la morte e la sconfitta sotto un’altra luce: «Di fronte alla sconfitta il poeta oscilla, tituba, attratto ora dall’abisso del nichilismo, che lo trascina in basso verso l’annegamento, ora dalla speranza in una salvezza, un’àncora alla quale aggrapparsi, un fondamento sul quale ricostruire», scrive sempre l’Osservatore Romano proseguendo nel profilo di un poeta molto particolare come Zagajewski. Nel percorso personale, la fede e l’esperienza religiosa non sono dei “vessilli” senza alcun dubbio, bensì vengono scandagliati insieme al cuore dell’umano: «se Dio non esiste che cosa sono le parole, da dove viene quella luce interiore? E da dove la gioia? Dove va il nulla? Dove abita il perdono? Perché i piccoli sogni svaniscono al mattino, e quelli grandi crescono?», si chiede il poeta polacco inquadrando la morte come «un grande mistero, volti, speranze, attese che si perdono e la sensazione che nessuno ci aspetta lassù in cima». E così nella chiosa finale dell’Osservatore Romano sul poeta polacco-ucraino, si può leggere una risposta chiara e tutta da verificare – per ciascun individuo – alla domanda sulla sconfitta: «solo dopo la sconfitta che si può vivere realmente: le amicizie si fanno più profonde, l’amore solleva attento il capo». È solo dopo una sconfitta che si può tornare a vivere, a ricostruire, «purché non ci sorprenda la vittoria» è l’unica “avvertenza” di Adam Zagajewski.