GIRO D’ITALIA 2018/ L’occasione per riscoprire Bartali e l’apoteosi azzurra del beautiful ’68

- Gianni Foresti

Domani inizia il Giro d'Italia 2018, con partenza da Gerusalemme e arrivo a Roma. Un'occasione per ricordare alcuni episodi legati alla storia del ciclismo e del nostro Paese. GIANNI FORESTI

Bartali_Gino_Lapresse Gino Bartali (Lapresse)

Domani inizia (anche in tv) il Giro d’Italia 2018, edizione 101 della corsa. Parte da Gerusalemme e non termina a Milano come di consuetudine, ma a Roma. Dalla Terra Santa alla città Eterna dove c’è l’erede di San Pietro. Sembra il tragitto degli Apostoli. Sicuramente non è il significato esplicito né recondito di questo percorso, ma ha certamente in sé un messaggio di pace che va oltre l’evento sportivo. Banale questa espressione? Forse sì, certo che se le religioni dividono, lo sport spesso unisce.

È quanto accadde nel lontano 1948 dopo l’attentato a Togliatti, quando le piazze comuniste erano pronte a insorgere con le armi. De Gasperi telefonò in Francia a Gino Bartali scongiurandolo di vincere la tappa del giorno dopo al Tour de France. Ginettaccio, non solo la vinse  e rasserenò gli animi, ma trionfò sugli Champs Elysees vincendo dopo 10 anni (primo nella storia) la sua seconda Grand Boucle.

Certo che Bartali era un predestinato al bene, cattolico fervente, utilizzò la bicicletta nei suoi allenamenti durante l’occupazione nazista per portare di nascosto documenti falsi in aiuto dei fuggitivi ebrei. Per questo nel 2013  è stato eletto  “Giusto tra le nazioni”  dal memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto, elezione che avviene per i non-ebrei che hanno aiutato i perseguitati dalle fauci naziste. Queste le motivazioni per Bartali: “Un cattolico devoto, nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa”. Pare che gli ebrei aiutati siano stati un migliaio. Pochi settimane fa gli è stata conferita la cittadinanza israeliana. E poi, con la vittoria dopo l’attentato a Togliatti, possiamo affermare che salvò l’Italia da una situazione molto critica.

Se volete documentarvi è in libreria un bel libretto, A colpi di pedale – La straordinaria storia di Gino Bartali di Paolo Reinieri  con le illustrazioni di Valentino Villanova (Editrice Ave). La prima parte è un fumetto a colori ben disegnato che illustra l’aiuto di Bartali agli ebrei. Il libro continua con il racconto della vittoria del 1948 al Tour, con tanto di telefonata di A. De Gasperi. Prosegue poi con la rivisitazione della vita e della carriera di Ginettaccio: famiglia, passione per la bicicletta, amore per la sua Adriana, vittorie, sconfitte e dualismo con Fausto Coppi. Cattolico nel cuore e nella vita, soprannominato Gino il pio, si era messo alla Prima Comunione la spilletta dell’Azione Cattolica e non l’aveva più tolta. A Parigi nel ’48 non alzò il braccio in onore del Duce e appena rientrato in Italia si recò in visita privata dal Papa. Forse tutti non sanno che era terziario carmelitano. Gianni Brera l’aveva soprannominato con acredine Frate Cipolla (quello del Boccaccio) per poi ricredersi con grande affetto verso il Gino.

Nel beautiful ’68 il Giro d’Italia lo vinse il grande Eddy Merckx il cannibale,  che in  quell’edizione vinse quattro tappe,  la  classifica a punti e quella del Gran Premio della montagna. In classifica generale si classificò con 5′ davanti a Vittorio Adorni, compagno di squadra del belga, terzo Felice Gimondi con 9′ di distacco. Merckx nel 1968 trionfò anche al  Giro di Sardegna, alla Roubeaix, al Romandia, nella tre Valli Varesine e in Catalogna. 

L’Italia fu circumnavigata dal Giro da nord a sud, ma nel beautiful ’68 forse nessuno se ne accorse. Al contrario del ’48, le piazze erano incandescenti e non bastò una grandissima vittoria ciclistica azzurra al mondiale di settembre a Imola a raffreddare gli animi. Merckx aveva vinto la gara iridata in volata nel 1967, e dopo le vittorie nella stagione del ’68 era il favorito insieme a Gimondi, ma tutto fu travolto dalla fuga di Vittorio Adorni che s’involò arrivando con quasi 10′ (massimo distacco in un mondiale) davanti a Van Springel, Dancelli, Bitossi, Taccone e Gimondi, cinque italiani nei primi sei.

Un’apoteosi azzurra, mentre pochi giorni prima i russi avevano invaso la Cecoslovacchia e a Venezia il Festival del cinema era stato duramente contestato.





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