ISTAT/ Blangiardo: la rinuncia al matrimonio religioso è la spia dell’incertezza dei valori etici

- int. Gian Carlo Blangiardo

Resi noti i dati dell'Annuario Istat: nel 2011 per la prima volta al nord Italia i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi. L'analisi di GIAN CARLO BLANGIARDO

matrimonio_chiesa_R439 Immagine di archivio

Risultato storico: così molti media stanno presentando i dati dell’Annuario Istat secondo i quali nel 2011 nel nord Italia i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi. Dati che sembrano venir sottolineati con un certo compiacimento: finalmente la gente non va più a sposarsi in chiesa, sembra di leggere fra le righe. C’è da dire che comunque in Italia con oltre il 60% il matrimonio religioso rimane la scelta preferita di chi si sposa con una punta del 73% nel sud Italia. “Non è comunque una novità, già si sapeva di una tendenza del genere in atto” spiega a ilsussidiario.net il professor Blangiardo, docente di Demografia all’Università Bicocca di Milano. “I matrimoni civili erano in aumento soprattutto nelle grandi città e adesso il fenomeno si è allargato, ma dietro ci sono diverse spiegazioni”. Per Blangiardo rimane il fatto che la rinuncia al matrimonio religioso è la spia di un atteggiamento più possibilista che apre la strada all’accettazione di problematiche etiche in contrasto con la fede cristiana.

Più matrimoni civili che religiosi nel nord Italia: risultato storico o prevedibile?

Non è una grandissima novità, è la continuazione di una tendenza che era già in atto da tempo. I matrimoni civili particolarmente nelle grandi città erano in aumento da parecchi anni. Adesso in qualche modo il fenomeno si è allargato. 

Quali le principali ragioni, secondo lei, di questa tendenza?

Intanto una maggior presenza di matrimoni di soggetti che non sono matrimoniabili religiosamente, ad esempio i divorziati. La popolazione di chi fa un secondo matrimonio è cresciuta, sarà una goccia ma anche questo incide così come incidono gli stranieri di appartenenza a religioni diverse che per semplificare le cose tralasciano il matrimonio religioso con rito concordatario e cose simili.

Che impatto può avere questa tendenza nella società civile?

Diciamo che stiamo assistendo a un cambiamento dei tempi di formazione della coppia tradizionale. Se un tempo i tempi della coppia erano il fidanzamento e poi il matrimonio in chiesa, oggi c’è spesso la convivenza preliminare e un matrimonio di tipo civile anche perché magari ci sono posizioni diverse dal punto di vista religioso. Ma poi c’è anche una seconda fase che porta comunque al matrimonio religioso. Un cambiamento in atto ma che va detto non mette in discussione l’importanza del matrimonio che nel nostro paese rimane una istituzione ancora molto importante. Secondariamente non toglie rilievo al matrimonio religioso che aveva caratterizzato le generazioni precedenti tenendo presente che siamo una società multi etnica.

Come spiega invece che al sud il matrimonio religioso è ancora una faccenda di massa?

Credo sia più facile in ambienti più piccoli e non nella grande città che avvenga questo. Più facile cioè che ci sia un significato sociale, un discorso di tradizione, la partecipazione indiretta dei genitori e dei parenti di quelle generazioni precedenti che sponsorizzano gli sposi anche dal punto di vista economico. Fanno cioè pesare un sistema di tradizione che loro hanno sperimentato e ritengono immodificabile.

Invece al nord sembrerebbe che i genitori approvino la decisione di non sposarsi in chiesa: è così?

E’ possibile. I genitori i cui figli si sposano adesso è gente che magari ha fatto il famoso 68 o comunque partecipato a una stagione molto precisa dal punto di vista ideologico. Che poi sia finita come sia finita, è possibile che sia  rimasta una idea di appartenenza a certi principi.  Che ci sia anche questa componente non è da escludere, non è probabilmente così determinante ma sono tante gocce che fanno questo secchio pieno d’acqua.

 

Lei crede che rinunciare al matrimonio religioso e dunque a una impostazione cristiana della vita significhi poi anche seguire certi pronunciamenti di valore etico che contrastano con la fede, ad esempio la fecondazione assistita e altri dibattiti etici oggi presenti nella nostra società?

 

Il matrimonio religioso, al di là di casi di forzature da parte dei genitori, in qualche modo rappresentava la testimonianza di una scelta, un passo in un certo modo segnato da un valore preciso, quello cristiano. Il fatto di aver rinunciato a queste cose non porta conseguenze etiche probabilmente, ma è la spia di un atteggiamento più possibilista e quindi disponibile ad accettare le variazioni.

 

Ad esempio?

 

Pensiamo all’aborto e al grande dibattito che attraversò la nostra società. Molti anche persone di principi ben identificabili in base all’idea del male minore accettava un discorso di violazione di un principio che non è certo irrilevante che è la salvaguardia della vita, perché in buona fede credeva che in talune circostanze si poteva scegliere una soluzione alternativa. Credo che segnali come la rinuncia ai matrimoni religiosi e altri diano la pericolosa sensazione di allontanamento da certi valori e principi: nel momento in cui c’è da fare altre scelte si è più propensi all’accodamento. 





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