IL CASO/ Dalla Torre (Vaticano): così un giudice decide la religione di un bambino di 10 anni

- int. Giuseppe Dalla Torre

GIUSEPPE DALLA TORRE, presidente del Tribunale dello Stato del Vaticano, commenta la vicenda della bambina inglese di 10 anni che si è convertita dalla religione ebraica a quella cristiana

aula_tribunale_palermo Foto Infophoto

A una bambina ebrea di dieci anni sarà consentito di battezzarsi dopo che il tribunale britannico della città di Romford ha respinto il ricorso della madre che voleva opporsi. Nel 2010 i genitori della piccola, entrambi ebrei non praticanti, hanno divorziato e il padre in seguito ha deciso di abbracciare la religione cristiana. Secondo la madre, l’uomo avrebbe plagiato la figlia per “costringerla” a seguire la sua scelta. Per Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale dello Stato del Vaticano e rettore dell’Università Lumsa, “si tratta di un caso controverso in quanto da un lato nella legislazione italiana si prevede che i minori con meno di 14 anni debbano proseguire nella religione nella quale sono stati educati. Dall’altra quando un genitore è non praticante, spesso il giudice valuta che sia interesse del minore ricevere l’educazione religiosa impartita dall’altro coniuge”.

Professor Dalla Torre, che cosa ne pensa di questa conversione che vede come protagonista una bambina di dieci anni?

Il minore in genere è considerato avere una capacità ridotta, tanto è vero che i genitori hanno una potestà parentale che comporta anche una rappresentazione dei diritti e dei doveri del loro figlio. In questa materia si distingue tra piccoli minori e grandi minori. Questi ultimi sono quelli che ormai sono vicini alla maggiore età e hanno già maturato una capacità di intendere e di volere e quindi di determinarsi. Di solito, anche se il confine non è netto, si parla di grande minore a partire dai 14 anni in su, e la dottrina giurisprudenziale italiana ammette che in questi casi possa esserci una scelta di carattere personale.

E quando il bambino è di età più precoce?

Quando invece i minori sono più piccoli, il problema è in genere più complesso. In sostanza la vera questione è scoprire se nei fatti la bambina inglese fosse capace di una scelta autonoma e libera, e non fosse invece stata condizionata per un qualsiasi motivo da una scelta fatta dal padre. Per fare un esempio, i genitori possono “costringere” il figlio di sei o sette anni ad andare a messa, ma non potrebbero fare la stessa cosa con il diciassettenne.

Che cosa accade invece quando i due genitori sono in disaccordo sull’educazione religiosa da impartire al figlio?

Se da una parte c’è ed è riconosciuto il potere dei genitori di orientare congiuntamente il figlio minore a una religione, in caso di disaccordo entrano in gioco fattori diversi. Nella giurisprudenza italiana c’è l’orientamento ad affermare che l’interesse del minore è quello di proseguire nella religione nella quale è stato educato. Questo è lo stato della questione almeno per quanto riguarda le ipotesi che si sono verificate in passato nel nostro Paese, e che potenzialmente possono ripresentarsi alla luce della situazione nella quale ci troviamo, sia dal punto di vista dei rapporti familiari sia dell’aumentare del pluralismo religioso.

 

Ma il padre inglese non ha forse lo stesso diritto della madre a educare la figlia nella religione che preferisce?

 

Questo è vero, anche se in giurisprudenza più che di “un diritto”, in quanto i genitori non hanno un diritto sui figli, si parla di un potere di rappresentanza. Quest’ultimo consiste nel curare gli interessi dei minori. Di fronte al caso della bambina inglese, il giudice si dovrebbe chiedere quale sia in concreto e nel caso specifico l’interesse della minorenne. La madre inglese potrebbe appartenere anagraficamente alla religione ebraica, ma di fatto non essere praticante. In questo caso l’interesse del minore potrebbe essere quello di venire educato dal genitore che, in relazione alla sua esperienza di vita religiosa, possa assicurare un più compiuto soddisfacimento del minore ad avere un’iniziazione, una formazione e una pratica religiosa.

 

Quello inglese è un nuovo caso Mortara?

 

Si tratta di vicende completamente diverse. Il caso Mortara risale all’Ottocento ed è avvenuto nello Stato Pontificio. Un neonato, Edgardo Mortara, era stato battezzato dalla levatrice, sia pure all’insaputa dei genitori, in quanto era in pericolo di vita. Quando le condizioni di salute del bambino si ristabilirono la vicenda venne alla luce, e il figlio fu sottratto ai genitori per essere allevato da istituzioni cattoliche. Una volta diventato adulto, Edgardo Mortara decise di farsi sacerdote, confermando quindi una scelta che al momento iniziale non aveva compiuto di persona.

 

(Pietro Vernizzi)





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