ABU HAMZA/ L’esperto: dagli Usa alle Filippine, ecco la mappa del nuovo terrorismo

- int. Lorenzo Vidino

Dopo dieci anni di battaglie giudiziarie, l’Alta Corte britannica ha permesso l’estradizione negli Stati Uniti del predicatore islamico Abu Hamza. Ne parliamo con LORENZO VIDINO

islam_pregiera_r439 Immagine di archivio

Dopo dieci anni di battaglie giudiziarie, l’Alta Corte britannica ha permesso l’estradizione negli Stati Uniti del predicatore islamico Abu Hamza e di altri quattro fondamentalisti. L’ex imam della moschea londinese di Finsbury Park, accusato da Washington di terrorismo, è comparso davanti al giudice di New York che ha ordinato il suo immediato trasferimento in carcere. Abu Hamza fu arrestato a Londra nel 2004 con l’accusa di istigazione all’odio razziale e alla violenza, pochi mesi dopo essere stato cacciato da quella moschea in cui predicava la guerra santa contro l’Occidente ed esaltava la figura di Bin Laden. Dovrà adesso rispondere di pesanti capi d’accusa per i quali rischia l’ergastolo. Come spiega a IlSussidiario.net Lorenzo Vidino, ricercatore del Center for Security Studies di Zurigo ed esperto di terrorismo islamico e violenza politica, “il sistema giudiziario americano è decisamente più severo di quello inglese ed europeo in generale. Nessuno dei personaggi estradati si è macchiato di violenza diretta, a partire da Abu Hamza, predicatore e mente organizzativa all’interno di cellule terroristiche. Queste attività di evidente supporto logistico vengono sanzionate in Europa con qualche anno di galera, in base al sistema giudiziario locale, mentre in America con queste accuse si rischia anche la galera a vita”.

Cosa può dirci di Abu Hamza?

E’ certamente una figura iconica e molto importante del mondo jihadista in Occidente, anche se si tratta di un imam “improvvisato” che inizialmente lavorava come buttafuori nelle discoteche di Londra. Ha poi cominciato a fare il predicatore riunendo intorno a sé un gruppo di fondamentalisti, la maggior parte dei quali reduci della guerra civile in Algeria, con cui ha occupato una moschea nell’area nord di Londra. Ben presto questo luogo, prima assolutamente moderato, si è trasformato in un centro nevralgico della jihad mondiale. Hamza era un predicatore, un reclutatore al centro di un network mondiale del terrorismo.

Come mai l’America ne ha richiesto così insistentemente l’estradizione?  

Abu Hamza è accusato di diversi crimini, tra cui quello di aver pianificato la creazione di campi di addestramento per terroristi in Oregon o per aver rapito diversi turisti occidentali in Yemen, alcuni dei quali rimasti uccisi durante il tentativo di liberazione. Lo stesso predicatore è poi legato a numerosi altri soggetti che si sono macchiati di crimini contro gli Stati Uniti ed è senza dubbio un personaggio chiave della jihad in Occidente nel periodo che va dalla seconda metà degli anni 90 fino al 2004.

L’estradizione di Hamza avviene mentre il governo delle Filippine e il principale gruppo ribelle separatista musulmano (Milf) del sud dell’arcipelago annunciano il raggiungimento di un accordo per porre fine a una guerra che dal 1978 ha causato oltre 120mila vittime. Cosa ne pensa? 

L’accordo raggiunto è di fondamentale importanza, soprattutto se riguarda un conflitto tanto duraturo e sanguinoso, ma qualche dubbio ancora permane. Nelle Filippine vi è una vera e propria galassia di gruppi islamisti, più o meno vasti, quindi è probabile che non tutti siano completamente in accordo con quanto stabilito in queste ore.

Cosa potrebbe accadere? 

Sarà necessario capire se in futuro quei diversi gruppi non soddisfatti di tale accordo tenteranno di sabotarlo attraverso atti di terrorismo contro il governo centrale di Manila e contro coloro che invece lo hanno siglato.

Quali sono le aree attualmente più critiche e prioritarie legate al terrorismo internazionale?

E’ sostanzialmente in atto uno spostamento dallo scenario afgano-pakistano, che comunque rimane indubbiamente importante, a quello più a ovest che comprende la Siria e il continente africano.

Cosa sta accadendo nell’area siriana?

La Siria si sta velocemente trasformando in un punto focale in cui numerosi jihadisti, provenienti da diverse parti del mondo e reduci da diversi conflitti, rappresentano ormai le forze principali delle milizie anti-Assad. Questo aspetto è fondamentale perché, nel caso in cui il regime siriano dovesse cadere, sarà interessante vedere quale sarà il ruolo di questi miliziani.

Quale zona dell’Africa è invece interessata?

Quest’area, non molto disconnessa da quella siriana, è costituita dal Maghreb, in particolare da quell’arco che dal Sinai arriva fino al Sahara. Si tratta di un’area che, a seguito degli scossoni politici avvenuti nell’ultimo anno e mezzo, è oggi terreno fertile per gruppi legati ad al Qaeda, in modo operativo o solamente ideologico, che hanno accesso ad armi e che risultano essere molto attivi. E’ questa la zona che attualmente preoccupa più di tutte e che in qualche modo, vista anche la vicinanza geografica, potrebbe aprire a possibili ripercussioni in Europa.

Anche in Italia?

In realtà l’Italia ha sempre rappresentato un obiettivo secondario dei terroristi, fatta forse eccezione per il periodo della guerra in Iraq e il coinvolgimento delle nostre truppe. Ancora oggi, però, rappresenta una delle maggiori porte d’accesso per l’Europa.

Vi è qualche motivo di allerta in questo periodo?

E’ ormai nota l’esistenza di numerosi network consolidati, presenti più o meno da una ventina d’anni in Italia, ma non credo vi sia una particolare ragione per essere preoccupati. E’ ovvio che un certo stato d’allerta vi è sempre, in particolare nei confronti di un nuovo fenomeno anch’esso altrettante preoccupante.

Quale?

Quello che riguarda i gruppi solitari, improvvisati, di cui abbiamo avuto un “assaggio” nell’attentato contro la caserma caserma Santa Barbara di Milano avvenuto nel 2009. Si tratta di personaggi legati solo ideologicamente a gruppi organizzati, che quindi operano attacchi spesso molto rudimentali e poco sofisticati. Sono proprio questi gruppi, però, a essere tra i più pericolosi, proprio perché difficili da intercettare da parte delle forze di intelligence.

 

(Claudio Perlini)





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