VIGNETTE ANTI-ISLAM/ La doppia morale dei “fratelli” musulmani

- Ugo Volli

Il caso delle vignette stiriche francesi su Charlie Ebdo ha mostrato la profonda intolleranza delle masse arabe, che pretendono il rispetto di principi che non garantiscono. UGO VOLLI

iran_israele_protestaR400 Foto InfoPhoto

Da alcuni anni, da quando il terrorismo islamico, o almeno i partiti che gli sono vicini, sono guidati da persone che hanno esperienza dei paesi occidentali, il loro modus operandi è cambiato: la violenza si alterna agli interventi politici, giuridici e legali che ne prendono spunto e lo giustificano. Così è accaduto per la barriera di sicurezza che Israele ha eretto per porre limite in maniera incruenta alle incursioni terroristiche dai territori amministrati dall’Autorità Palestinese; così accade anche per Gaza dove il lancio giornaliero di razzi sulla popolazione civile israeliana (sono ormai oltre diecimila dal ritiro israeliano di sei anni fa) si alterna a flottiglie, mozioni dell’Onu, guerriglie legali nelle aule di giustizia occidentali.

Lo stesso va detto per quanto riguarda il conflitto sulla libertà di critica che vige in Occidente su Maometto e l’Islam, come su ogni altra cosa. Il filmetto irriverente nei confronti di Maometto che è misteriosamente spuntato su You Tube una settimana fa (senza che nessuno ne avesse mai avuto prima notizia o l’abbia visto integralmente anche se dovrebbe risalire a due anni fa), è costato la vita all’ambasciatore americano in Libia e a tre suoi collaboratori, ha portato alla devastazione dell’ambasciata americana in Egitto e ad atti di violenza in tutto il mondo islamico. Calmate un po’ le acque, ora il partito dei Fratelli musulmani in Egitto, che porta il nome assai improprio di “Giustizia e Libertà”, ma non è da prendere sottogamba perché controlla tutte le leve del potere nel più numeroso paese arabo, a partire dal presidente Morsi, ha preso carta e penna e si è rivolto al governo francese chiedendogli di impedire la pubblicazione di vignette satiriche sul settimanale Charlie Hebdo, come è stata proibita la diffusione delle immagini in topless di Kate Middleton e come è proibito in Francia il negazionismo dell’Olocausto.

Naturalmente la Fratellanza musulmana ignora volutamente alcuni fatti fondamentali di civiltà giuridica: il fatto che la responsabilità è personale, per cui se un certo signore svizzero se la prende con me o con un mio parente (ma magari anche con Leonardo o con Garibaldi), io posso irritarmi con lui, ma non con la confederazione elvetica. E poi la separazione dei poteri, per cui se c’è una legge che proibisce il negazionismo dei genocidi o se una persona ottiene da un tribunale che la sua privacy sia tutelata, queste decisioni non dipendono dal governo ma da organi indipendenti e competenti. Insomma il gesto del partito dominante in Egitto non è diverso nella sostanza da quello degli attentatori dell’ambasciata americana, anzi lo completa e lo giustifica, mostrando la stessa mancanza di accettazione dei principi liberali e di democrazia.

Vale la pena di notare che i fumetti “antislamici” di Charlie Ebdo hanno anche un sottotono antiebraico. Per esempio l’immagine di copertina, che circola largamente sul web, mostra un tale vestito di bianco con un turbante  portato su una sedia a rotelle da un tizio vestito di nero, con un largo cappello e dei riccioli davanti alle orecchie: il primo identificabile con un musulmano, se non proprio con Maometto in persona, il secondo con un ebreo ultraortodosso. Il titolo è “gli intoccabili”, ed entrambi vengono fatti dire: “non devi prendermi in giro”. Gli ebrei in questa storia non c’entrano niente e hanno una delle stampe più libere del mondo, compresa la satira. Ma non risulta che né la comunità ebraica francese né ovviamente il governo israeliano o i partiti che lo compongono abbiano chiesto al governo di proibire la rivista o censurarla. Tanto meno è pensabile che ci siano manifestazioni, minacce, per non parlare dell’assassinio di persone assolutamente senza alcun legame con il “vilipendio”, come i diplomatici americani a Bengasi. 

E bisogna anche ricordare che molto peggio del “vilipendio” è la violenza alle persone, che se gli islamici sono offesi dal film e dalle vignette, noi siamo offesi dalle stragi di cristiani in Siria e in Nigeria, da casi come quello della bambina down arrestata in Pakistan con l’accusa poi risultata falsa di aver bruciato delle pagine del Corano, dalla proibizione generalizzata in tutto il mondo arabo di svolgere cerimonie religiose ebraiche o cristiane e di portare i simboli della propria religione. La tolleranza riguarda innanzitutto la libertà delle persone, non i simboli.

Il problema è tutto qui. Senza dubbio ci sono valori e simboli cui chiunque è attaccato, dalla memoria dei genitori ai simboli religiosi. Ci può essere in certi casi una legittima richiesta di tutela della propria sensibilità. Ma questa deve escludere assolutamente la violenza, deve riguardare i veri responsabili e non altri, non deve escludere la libertà di critica. Bisogna poter dire, perché fa parte della verità storica e del Corano, che Maometto sposò una bambina di nove anni e la possedette a dodici; che dopo aver fatto un patto coi suoi nemici, lo violò appena accumulata la forza per prevalere, che sterminò in un terribile atto di pulizia etnica le tribù ebraiche che rifiutarono di unirsi a lui uccidendo tutti i maschi e facendo schiave tutte le femmine.

Sono atti inaccettabili per noi, come inaccettabili sono molti contenuti del Corano e anche questo si deve poter dire. Bisogna che la satira sia possibile: i suoi confini sono delicati da stabilire, ma nel dubbio è meglio essere liberali che repressivi.

 

Vi è dunque un equilibrio delicato fra libertà di espressione e tutela della dignità personale: non vogliamo vivere in una società in cui chiunque possa impunemente insultare e diffamare chiunque altro, ma neppure in una società dove certi soggetti siano intoccabili e non criticabili. Vi devono poter essere discorsi che dispiacciano a qualcuno, anche se è potente, e che ricevano risposte verbali, smentite, chiarimenti, contestazioni, ma che non siano reprimibili con l’uso della giustizia (né ovviamente autorizzino la violenza). 

Con qualche inevitabile approssimazione, le società occidentali vivono in questo stato di libertà e dovrebbero esserne fiere. La libertà di parola non è un privilegio accessorio alla nostra democrazia, ma uno dei suoi valori centrali. Gli europei devono avere anche la forza, che la Francia ha avuto e l’amministrazione Obama molto meno, di difendere questa libertà, di ribadirla come un valore, di chiederne il rispetto agli altri. 

 







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