MARIAM YEHYA IBRAHIM/ Può una madre amare Gesù più del figlio che ha in grembo?

- Maddalena Bertolini

La giovane sudanese condannata a morte per non aver abiurato la sua fede cristiana nonostante sia incinta e innocente di ogni accusa tocca il cuore di tutti. MADDALENA BERTOLINI

mariam_ibrahim.jpg Mariam Yehya Ibrahim (Immagine d'archivio)

Mariam Yehya Ibrahim ha 26 anni, un figlio di venti mesi e un marito cristiano; sta aspettando un’altro bambino, è presso il termine della sua seconda gravidanza. Qualche mese fa un suo parente la ha denunciata alle autorità sudanesi, che l’hanno rinchiusa in carcere e processata. Condannata alla morte per impiccagione, colpevole di apostasia in quanto di religione cristiana ortodossa come sua madre (il padre musulmano la ha abbandonata da piccola, ma ciò basta a renderla islamica per nascita) più 100 frustate, che avrebbe già ricevuto, perchè adultera (sposare un cristiano non è possibile per una musulmana), il suo non è un matrimonio valido. Nel corso dell’udienza al tribunale di Khartoum il giudice le ha chiesto di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: “Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma tu continui a non voler tornare all’Islam e dunque ti condanno a morte per impiccagione”, ha detto il giudice Abbas Mohammed Al- Khalifa rivolgendosi a Mariam.
Tre giorni di tempo, questo tempo, il nostro tempo di maggio che è il mese di Maria, lei lo porta nel nome; nel grembo invece porta un figlio, a fianco ne ha un altro. Verrà uccisa in modo ignominioso, appesa; forse aspetteranno che si sgravi, quel figlio dentro e quello fuori le verranno tolti ma non riabbracceranno il padre, no, verranno dati allo stato, allevati in orfanotrofio, se maschi, se femmine chissà, non esistono orfanotrofi per bimbe musulmane, non ne vale la pena. Forse qualche anima buona le accoglierà e poi rischieranno lo stesso suo destino. Ma se dice di no, si salverà, si salveranno i suoi bambini.
Ora, io mi sono messa nei suoi panni: io, ripensando a quando ero incinta, il bambino ormai grande che mi scalciava dentro. Davvero avrei come lei…? No, io no. Io avrei pensato, Cristo mio Signore e mio Dio, io ti amo, lo sai che ti amo, ma proprio perché Tu leggi nel mio cuore sai che ti rinnego per finta, che fingo per salvare mio figlio, anzi i miei figli, da un destino terribile; non per la mia vita, in fondo no, non si tratta di me ma di loro, le creature che Tu mi hai donato. Sì, io avrei fatto così. Tutto per loro, per i figli. Il fine giustifica i mezzi; chi mi dà torto si faccia avanti.
Mariam invece ha detto no, a Cristo non rinuncio. Rinuncio a loro che sono Suoi. Lui me li ha dati, a Lui li affido. Io sono Sua. Non sono belle parole, sapete. Sono fatti. Lei lo ha fatto. Lo ha detto: impiccatemi, toglietemi i figli ma non Dio.

Questo è di più che dare la vita. Ogni madre lo sa bene. Ogni buona madre direbbe “prendi me ma non loro” e invece questa ragazza nera, sconosciuta e disperata ha detto “prendi me e anche loro”. Non ne sarei capace, sinceramente, no. Non questo. Chi sei, Mariam? Mi ricordi una donna antica, Rita da Cascia, due figli maschi anche lei, sposata, santa. Da dove viene questo essere santa? Come fanno a esserci queste donne sante dentro tanto male? Dico donne perchè come lei Asia Bibi, o le duecento ragazze rapite. In aggiunta a tutte quelle di cui non sappiamo niente, rubate, violentate, schiavizzate e lapidate. Il sangue di tante donne che danno la vita per la Vita. Sul corpo di queste donne si rinnova la speranza di un Bene che non si perde, di un Amore che resiste, fecondo, martire. E noi donne d’Occidente, chi siamo noi? Noi figlie del femminismo, liberate e libere, di divorziare, di abortire, noi chi siamo? Noi donne evolute, istruite e democratiche, cosa facciamo?
Ben poco, lo devo pur ammettere, a partire dal mio stesso cuore, che oggi ha ricevuto una spallata e si è sfondato: Mariam, tu lo hai fatto, con il tuo gesto, mi hai dimostrato chi sono. La mia fragilità chiusa dentro un ragionamento, un pensiero che pensa di salvarsi ma che inciampa su di sé, un relativismo così subdolo che tutto ne è permeato, tutto diventa opinabile, manipolabile, ammissibile. Il relativismo che mi sommerge e annega la verità, così chiara invece per Mariam. Io faccio così fatica a dire “no”, ai miei figli, alle mie voglie. Lascio che tutto mi travolga, mi passi sopra e sotto, pur di conservare un angolo tutto per me, un angolo di egoismo; a cui ognuno ha diritto, in fondo, è così importante per sopravvivere quell’angolo di egoismo…, quell’angolo di finta pace.
Per sopravvivere, certo, questo è il punto. La sopravvivenza. Rima con un’altra parola, scomoda: Provvidenza. La differenza tra me e te Mariam, forse è questa: io, donna d’Occidente, libera, sopravvivo. Con i miei diritti stretti tra i denti. E la fede dietro. Tu no. Sei capace di dare tutto, anche di più della tua vita. Il sangue di tali donne sta fecondando l’Africa, il mondo. Cambia il mondo. Chiama la coscienza del mondo. Le ultime notizie dicono che lo scandalo del tuo caso ha forse fermato la condanna: lo hanno annunciato Antonella Napoli, presidente di Italians For Darfur, citando rassicurazioni di avvocati raccolte da Khalid Omer Yousif della Ong Sudan Change Now. Ci sarà una nuova sentenza, un nuovo processo. Grazie, Mariam, grazie.





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