ARTICOLO 18/ Cosa succede se il lavoratore “rifiuta” la lettera di licenziamento?

- Angelo Chiello

Una recente sentenza della Corte di Cassazione porta un po’ di chiarezza sulla notifica del licenziamento e sulla possibilità di rifiutarla. Ci spiega tutto ANGELO CHIELLO 

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Com’è noto, l’art. 2 della legge n. 604 del 1966 impone al datore di lavoro di comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro (compresi i dirigenti). Se intimato in forma orale, il licenziamento è inefficace e trova applicazione il regime previsto dai primi tre commi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (riformato dalla cosiddetta legge Fornero): il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, stabilendo una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Per evitare di incorrere nella sanzione prevista dalla legge, il datore di lavoro deve quindi redigere la lettera di licenziamento e consegnarla al prestatore di lavoro; il che può avvenire in due modi: facendo recapitare la lettera, per il tramite del servizio postale, al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro (o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore); oppure consegnando la lettera direttamente al lavoratore e facendosi firmare una copia per ricevuta. Ma cosa succede se il lavoratore si rifiuta di ricevere la lettera di licenziamento e/o si rifiuta di firmare una copia per ricevuta? In questo caso, si può dire che il licenziamento è stato validamente comunicato per iscritto o si versa nell’ipotesi di licenziamento inefficace in quanto intimato in forma orale?

Il caso è abbastanza frequente e tende ad assumere una rilevanza particolare, soprattutto in presenza di un licenziamento di natura disciplinare; ovvero di licenziamento intimato per giusta causa (che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro) o di licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo (che consiste in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro).

La particolare rilevanza del problema deriva dal fatto che molti contratti collettivi impongono al datore di lavoro di comminare il licenziamento entro un termine di decadenza di pochi giorni (variabile da contratto a contratto), decorrente dalla presentazione (o dalla scadenza del termine per la presentazione) delle giustificazioni da parte del lavoratore. Scaduto il termine, le giustificazioni addotte dal lavoratore devono ritenersi accolte e il licenziamento successivamente comunicato dal datore di lavoro diviene illegittimo. Si spiega quindi lo stratagemma, utilizzato qualche volta dai lavoratori (su suggerimento di consulenti e avvocati), di rifiutare il ricevimento della lettera di licenziamento, per costringere il datore di lavoro a ricorrere, magari il giorno successivo (quando il termine per la comunicazione del licenziamento è già scaduto), al servizio postale.

Con una recente sentenza del 25 marzo 2013, n. 7390, la Corte di Cassazione è tornata a pronunziarsi su questo problema. Il caso era quello di un lavoratore di lingua straniera, licenziato in tronco per assenza ingiustificata per oltre quattro giorni consecutivi, ai sensi dell’art. 25 del Ccnl metalmeccanici. Il datore di lavoro aveva provato tempestivamente (ovvero entro il termine di sei giorni previsto dall’art. 23 del contratto collettivo) a consegnare la lettera di licenziamento al lavoratore; ma quest’ultimo, dopo averne appreso il contenuto (tradotto da un connazionale), si era rifiutato di ricevere la lettera. A seguito del rifiuto, il datore di lavoro aveva provveduto a inviare la lettera di licenziamento anche per raccomandata, ma oltre il termine di sei giorni previsto dal contratto collettivo.

Il primo round davanti al Tribunale di Firenze è stato vinto dal lavoratore, che è stato reintegrato nel posto di lavoro. In particolare, il Tribunale di Firenze aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento proprio in quanto, a suo dire, il rifiuto opposto dal lavoratore avrebbe impedito la comunicazione per iscritto del licenziamento e la successiva spedizione della lettera per raccomandata non era stata tempestiva. A distanza di sei anni dal licenziamento dichiarato inefficace, la Corte di Appello di Firenze ha ribaltato il verdetto del giudice di primo grado, rigettando l’impugnazione del licenziamento.

Ora, con la citata sentenza del 25 marzo 2013, n. 7390, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze ribadendo il principio, già precedentemente affermato, secondo cui il rifiuto da parte del lavoratore di ricevere la lettera di licenziamento, che può essere dimostrato dal datore di lavoro anche attraverso la prova testimoniale, non impedisce il perfezionarsi della relativa comunicazione e non determina quindi l’inefficacia del licenziamento, se avvenuto sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro (ben diverso è il caso in cui il datore di lavoro pretenda di consegnare la lettera di licenziamento al lavoratore sulla pubblica strada, al bar o al supermercato!).

La Corte di Cassazione ha osservato, in particolare, che secondo un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico, desumibile dalle norme sulla mora credendi nonché dall’art. 1335 del codice civile e dall’art. 183 del codice di procedura civile, il rifiuto di una prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato, inficiandone l’adempimento; e ha osservato altresì che, nell’ambito del rapporto di lavoro, tale principio si coniuga con l’obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale il lavoratore è sottoposto.

La Corte di Cassazione ha poi ulteriormente rilevato che, rispetto alla presunzione di avvenuta conoscenza, del tutto irrilevante è il successivo invio da parte del datore di lavoro di formale raccomandata, essendo lo stesso ascrivibile a un’ulteriore cautela adottata dall’azienda e non essendo certo idoneo, il predetto invio, a fornire argomento di prova della precedente mancata comunicazione.

Dunque: lo stratagemma di rifiutare la lettera di licenziamento, sul posto e durante l’orario di lavoro, non funziona. Se poi, invece della lettera di licenziamento, viene rifiutata una lettera contenente una sanzione disciplinare conservativa, il lavoratore si espone al rischio… di una sanzione ulteriore. 





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