CRAIG FINN/ Una pausa dagli Hold Steady e il mio “nuovo amico” Gesù

- Paolo Vites

CRAIG FINN leader degli Hold Steady esordisce da solista. L'intervista di Paolo Vites a una rock star (anche se non lo sembra) tra religione e Raymond Carver

FINN_R400 Craig Finn (Infophoto)

Sembra abbia appena timbrato il cartellino e sia uscito dall’ufficio postale dove fa l’impiegato. Potrebbe essere un nerd che più nerd non si può: grassottello, un po’ stempiato, occhialoni da vista. Invece fa il musicista rock. Non è proprio una star, anzi è l’antitesi della rock star. È Craig Finn, leader e cantante degli Hold Steady, una voce che assomiglia in modo impressionante a quella del giovane Bruce Springsteen e una serie di canzoni formidabili.
Poco popolari dalle nostre parti (come sempre, d’altro canto, quando rock fa rima con qualità), in America e nel Regno Unito gli Hold Steady sono tra i gruppi recenti più amati, complice lo splendido ultimo disco della band,  “Heaven is Whenever”, che ha fatto innalzare ulteriormente le loro quotazioni, e una fama da live act grintoso e pulsante (anche ascoltarli dal vivo è una possibilità che in Italia ci viene negata).

A tutto questo vanno ad aggiungersi adesso le canzoni del suo primo disco solista (“Clear Heart Full Eyes”), un disco che conferma quanto di buono si sia detto su questo personaggio. Craig Finn potrebbe uscire da un libro di Nick Hornby, ad esempio “Alta fedeltà”: come i protagonisti di quel bellissimo romanzo, il cantante americano è un fan della musica rock e la sua vita ne è segnata.
“La musica rock è parte di ciò che siamo” ha detto in una conversazione con IlSussidiario.net. “Sono un grandissimo fan della musica rock, è qualcosa che mi definisce come persona. Quando pensi al modo in cui la musica e le parole si intersecano fra di loro, non è solo una questione di parole e musica. Le due cose insieme possono creare qualcosa di così eccitante e di intenso per l’ascoltatore e fargli provare ciò che il rock’n’roll dovrebbe sempre: essere liberi, selvaggi, intelligenti, ispirati. Ecco cosa penso che una canzone rock debba essere e credo che sia sempre stata”.

D’altro canto, nella canzone che dava il titolo all’ultimo disco degli Hold Steady, lo diceva chiaramente: “Il Paradiso è ovunque, io e te possiamo sederci sul pavimento ed ascoltare la tua raccolta di dischi”. Niente di più, niente di meno. Craig Finn ha  molti altri lati interessanti da scoprire: ad esempio la sua fede religiosa, o i suoi interessi letterari. Cita tranquillamente Raymond Carver e  Jeffery Eugenides, così come “il suo nuovo amico Gesù” (la canzone My New Friend Jesus): “Molte delle canzoni che scrivo sulla religione o su Cristo cercano di personalizzarlo e farlo apparire di più come qualcuno che incontriamo tutti i giorni che non il contrario”.

Da quanto tempo stavi pensando a un progetto solista?

Da un paio di anni. Avevo scritto parecchie canzoni dall’andamento diciamo più quieto di quanto faccio normalmente con gli Hold Steady. Poi nel mese di marzo dell’anno scorso la band decise di prendersi un momento di pausa di circa quattro mesi e pensai che fosse il momento buono per realizzare questo progetto.

Come hanno reagito gli altri della band? Tornerai insieme a loro presto?

Stiamo già lavorando insieme al prossimo disco degli Hold Steady. Sono stati molto comprensivi nei miei riguardi, credo anche perché quello che stavo facendo era così differente da quello che facciamo insieme normalmente. Per cui non si sono sentiti minacciati… Sono rimasti contenti del mio disco e adesso eccoci qua a lavorare ancora insieme.

Com’è stato a lavorare a questo disco solista?

Molto semplice. Il produttore mi ha messo a disposizione alcuni musicisti che hanno imparato le mie canzoni molto in fretta. Le abbiamo registrate altrettanto velocemente. Tutto questo è quanto il disco lascia trapelare in termine di sound: velocità, esecuzioni emozionalmente forti. Proprio il fatto di aver lavorato così velocemente ha reso il tutto così eccitante e diverso, unico, nel risultato finale.

Dove lo avete registrato?

Ad Austin nel Texas, tutti i musicisti che hanno lavorato con me sono di Austin, una delle capitali americane della musica.

Ancora una volta nelle tue canzoni risalta il tuo incredibile stile narrativo, ogni canzone potrebbe essere un libro o un film.

Nel mio modo di comporre canzoni ho sempre cercato di scrivere come se si trattasse di storie, ho sempre voluto che i testi raccontassero delle storie che portassero l’ascoltatore da qualche parte. Fare questo disco solista mi ha permesso di approfondire questo aspetto. Il fatto di essere un disco meno rumoroso, più quieto, credo abbia permesso ai testi di risaltare maggiormente.

Possiamo dire canzoni più introspettive?

Sì, un volume minore permette di far sì che le canzoni siano più intime e vulnerabili come contenuti.

Da dove hai preso l’ispirazione?

Nel caso di un brano come Apollo Bay, e altri ancora, dal fatto di stare da solo, sia dal punto di vista geografico oppure dopo la fine di una relazione. Ho scritto Apollo Bay alla fine di un tour con gli Hold Steady. Quando ho deciso di lavorare a questo disco mi trovavo in Australia e andavo in giro in macchina per conto mio, da solo. Non voglio dire che mi sentissi solo, stavo bene, ma era un tipo di esperienza piuttosto solitaria. Molte di queste canzoni hanno a che fare con questo senso di dislocazione.

La canzone No Future: un vecchio slogan del periodo punk e dentro ci sono anche Freddie Mercury e Johnny Rotten (“Good old Freddie Mercury, is the only guy that advises me, this time, he said if you cant beat them join them (…) The best advice that I’ve ever gotten was from good old Johnny Rotten. He said God Save the Queen, he said no future for you. No future for me”).

Quando ho scritto quel brano pensavo a come la musica, per qualcuno come me che stava passando molto tempo da solo fosse un grande aiuto, così come quando ti senti giù e sconsolato. Così ho immaginato un personaggio che cercava aiuto e consigli  e per ottenerli andava a cercare tra i suoi dischi, per ottenere un parere da personaggi musicali differenti. Ho pensato fosse divertente che tu possa andare da Freddie Mercury o da Johnny Rotten per avere dei consigli sui tuoi problemi. 

Il rimando immediato è a un brano come Heaven is Whenever, dove citavi un sacco di gruppi e dischi rock.

La musica rock è parte di ciò che siamo. Sono un grande fan della musica rock e mi definisce in un certo senso come persona. Mi piace farvi riferimento ed esplorarla.

La musica rock ha una storia lunghissima dietro di sé, qualcuno oggi dice che sia morta. Che cosa è per te una canzone rock?

Ritengo sia ancora qualcosa di molto forte dal punto di vista emozionale. Quando pensi al modo in cui la musica e le parole si intersecano fra di loro, non è solo una questione di parole e musica. Le due cose insieme possono creare qualcosa di così eccitante e di intenso per l’ascoltatore e fargli provare ciò che il rock’n’roll dovrebbe sempre far provare: essere liberi, selvaggi, intelligenti, ispirati. Ecco cosa penso che una canzone rock debba essere ed è, ed è ciò che credo sia sempre stata.

Nelle tue canzoni il tema religioso è molto spesso evidente. Come è nato un pezzo come My New Friend Jesus?

Penso che a differenza di altre canzoni dove ho toccato il tema religioso, questa sia un po’ più scherzosa, meno seria. Pensavo a Gesù come a un essere umano in carne e ossa, e come lui potrebbe interagire con noi piuttosto che in modo astratto e di indefinito come lo si pensa spesso. Come quando ti capita di avere un nuovo amico e non fai altro che parlarne, così ho messo Gesù in questo ruolo. Molte delle canzoni che scrivo sulla religione o su Cristo cercano di farlo diventare reale, come qualcuno che conosciamo personalmente piuttosto che qualcuno che non sappiamo chi sia.

Qualcuno che puoi incontrare in carne e ossa, insomma.

Sì infatti, qualcuno che cammini in mezzo a noi.

Rented Room è un’altra canzone di grande fascino.

Beh, vivevo davvero in una camera presa in fitto! È successo un paio di anni fa, alla fine di una relazione e stavo in giro in tour un sacco. Così invece di prendermi un vero appartamento, presi in affitto una stanza a Brooklyn. Ma mi resi conto di non starci per niente bene come si sta in un vero appartamento. Volevo sempre uscire fuori. La canzone più o meno parla del sentirsi senza un vero posto di appartenenza, un posto che puoi chiamare casa.

Qualcuno potrebbe farsi l’idea a questo punto che tu non sia una persona ottimista…

In questo disco credo di essermi preso una pausa dal mio usuale ottimismo che si intravvede nelle canzoni che faccio con gli Hold Steady. Normalmente cerco sempre di risolvere le situazioni di cui canto con un aspetto positivo e incoraggiante. Questa volta probabilmente no,

Tornando all’aspetto letterario delle tue canzoni, quali sono i tuoi scrittori preferiti?

Ho dei gusti alquanto tradizionali. Mi piacciono ad esempio Raymond Carver e ovviamente Jack Kerouac. Mi piace anche scoprire nuovi autori, credo che il libro “Freedom” di Jonathan Frazier fosse fantastico. Anche “The mariane Plot” di Jeffery Eugenides che è uscito l’anno scorso era un libro straordinario. Mi piace leggere, penso che di scrittori come Philip Roth o James McMurtry abbia letto praticamente tutto, ma ho sempre qualcosa di nuovo da leggere, fortunatamente.

E un giorno scriverai anche tu un libro?

Ci ho provato qualche anno fa, ma è davvero difficile scrivere un libro. Non mi stava venendo bene, così ho cancellato tutto.





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