ALEX BEVILACQUA/ Incontri d’autore: una vita al servizio della musica

- Alessandro Berni

Da anni sulla scena musicale, il cantautore Alex Bevilacqua si è affidato a voci altrui per cantare le sue composizioni. Un mistero svelato. di ALESSANDRO BERNI

Alex_bevilacqua_R439 Alex Bevilacqua

Il finale arriva senza preavviso con l’energia di un fremito che percorre il corpo e le membra.  A quel punto il canto ha trapassato ogni singola cellula e non c’è biglietto di ritorno per una rassicurante normalità, vera o presunta che sia.  Il cantautore Alex Bevilacqua ha trovato l’interprete ideale per battezzare una canzone tremenda e straordinaria, Aria (al secolo Arianna Caputo) ha trovato l’autore che ne esalta in maniera completa le splendide potenzialità vocali.  Quella canzone è Il grido, probabilmente una delle canzoni più incisive e profonde di questi ultimi anni.

Alex Bevilacqua è cantautore e scrittore milanese forte di esperienze di ensemble e soliste con un minimo comun denominatore.  L’umiltà lungimirante e laboriosa di porsi spesso e volentieri sullo sfondo dell’esecuzione per far risaltare la scrittura e la forza di interpreti accuratamente selezionati.  Una vita al servizio della musica e alla sua migliore rappresentazione possibile.

Due album, l‘EP “My Dark Songwriting”  e “Visioni d’Insieme”, la complicità con l’ottimo Lele Battista (La Sintesi, Patrizia Cirulli), spunti piacevoli condotti sulla direttrice di un pop-rock raffinato talora vivace talaltra più blando in attesa di una più matura e consapevole definizione.  Cosa che arriva nell’estate 2014 con un nuovo EP intitolato “Le Monadi” che viaggia in parallelo con la produzione di un libro, “Minoritauro”, per un reload moderno di certa letteratura insurrezionale tra Brecht e Gaber, tra il pop-rock a denominazione di origine controllata e la musica d’autore.   

Un gioco al rimpallo continuo tra indignazione vigile e ironia ben dosata, da BlancNoir – messa su pentagramma dell’eterna collisione degli opposti con la strepitosa guida timbrico-narrativa di Giulio Casale – alla verve sardonica di un’ottima Asocial  dove al canto di Bevilacqua – giocato sulle marce basse e fascinosamente scordato alla maniera di certo Paoli – fa da contraltare quello seduttivo di Scyana, fino all’ironico disincanto di Le monadi che si distende in una outro orchestrale che lascia l’epilogo al solo piano di Venusia.

Centro nevralgico di questa breve piece d’autore dei nostri giorni è la citata collaborazione con Aria.  Milanese come lui, cantautrice con solide radici nelle frequentazioni artistiche dei sobborghi si segnala nel 2010 per un singolo a tinte rock – “Essere Umana”/ “Mi manca l’aria” – che mette in bella mostra l’esplosività naturale delle dotate corde vocali della protagonista.  

Un incontro d’autore questo che è quasi un appuntamento al buio sotto la lente provvidenziale del destino. Il grido è l’estrema e più efficace sintesi del lavoro e del tema del libro.  La confusione assordante dei nostri tempi, le illusioni di realizzazione, le proiezioni di sé in realtà create ad hoc per eludere la sgradevole quotidianità.  

Ritratto impietoso o sguardo pieno di compassione ed empatia su un umano sempre più imprigionato? Probabilmente i piani si combinano e vengono bene rappresentati da un videoclip impersonato dalle ballerine Mery Hell Mod e Jessica Santini, con le loro fantasiose e frenetiche evoluzioni da lap-dancer che sembrano saldarsi idealmente a frasi-chiave del testo.  “rinchiusi in una bolla che vaga in mezzo al nulla … ballando su una stella in rotta verso il nulla … e se ci rifugiamo nell’alba che verrà, allora il nostro tempo non abita più qua  e se ti scoppia in testa l’estate che verrà, è chiaro che hai bisogno di spingerti più in là … dall’alto del tuo faro sovrasti un mare nero … me se ti esplode in gola un grido senza età, è chiaro che qualcosa dentro di te non va”).

I sentimenti di sé e del mondo finiscono per tradire e deludere, la sospirata realizzazione non arriva, non resta che l’evasione e il bisogno di soddisfarsi in uno stile di vita estremo che fiuta, assaggia, ingoia godimento e ne rimane a sua volta ingoiato.  Il grido è il grande intruso, il corpo alieno che scoppia nel fondo del cuore, talmente inconsueto da essere in un certo senso temuto.  Ma resta lì.

Su una base elettro-pop costruita su un arpeggio ipnotico, la voce di Aria è ad un tempo sensuale e velenosa, passionale e disperata.   Al culmine di ogni strofa un tracciante di chitarra solista dell’autore funge da pista cifrata per il canto che prima si sdoppia, poi si moltiplica per esplodere nel finale in un fraseggio lirico come un melò rinascimentale che si fa via via più squarciato e denso di pianto.  In fondo a questi quattro minuti scarsi un brivido potente che resta intatto ad ogni ascolto.  





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