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Home » Esteri » Africa » CAOS LIBIA/ Salam Abedi, attentatore di Manchester: ecco chi ha creato il mostro

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CAOS LIBIA/ Salam Abedi, attentatore di Manchester: ecco chi ha creato il mostro

Michela Mercuri
Pubblicato 29 Maggio 2017
libia_guerra_milizie_carroarmato_lapresse_2016

In Libia (LaPresse)

Non ci sono oramai più dubbi sui legami tra l'attentatore di Manchester, Salam Abedi, e il radicalismo libico. Le potenze occidentali c'entrano qualcosa? MICHELA MERCURI

Non ci sono oramai più dubbi sui legami tra l’attentatore di Manchester, Salam Abedi, e il radicalismo libico. Il giovane faceva la spola tra la cittadina del Regno Unito e la Libia oramai da diversi anni, mentre il padre e il fratello sono stati arrestati da una milizia tripolina — probabilmente le cosiddette forze speciali di deterrenza “Rada”, che gestiscono la sicurezza nella capitale — con l’accusa di “contatti” con gruppi jihadisti. 


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Molti aspetti della tragica vicenda non sono ancora noti. Tuttavia, allo stato dei fatti, è possibile azzardare alcune considerazioni. 

In primo luogo sarebbe importante chiedersi perché il padre del ragazzo, Raman Abedi, partito dalla Libia da più di 20 anni per “sfuggire alle persecuzioni del regime di Gheddafi” (così per lo meno si legge nelle agenzie), abbia deciso di farvi rientro con parte della sua famiglia poco prima delle rivolte del 2011. Facciamo un passo indietro. Negli anni novanta nella Jamahiriya si rafforza il Gruppo combattente islamico libico (Gcil), organizzazione clandestina di matrice islamica che puntava al rovesciamento del regime. Il rais, allora, rispose con una violenta politica repressiva che si concluse con una controffensiva nella regione dello Jebel al-Akhdar, nell’est libico — dove si trovavano i principali campi di addestramento del Gcil e dove, di recente, ne sono stati individuati altri — spingendo alla fuga molti dei suoi affiliati, tra cui il redivivo leader Abdel Hakim Belhadj che ha poi ricoperto ruoli “politici” importanti nel Paese dopo la morte del colonnello. 


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Parliamo di più di 25 anni fa, proprio quando il padre dell’attentatore, così come altri libici, fuggiva alla volta del Regno Unito. Tornato a Tripoli, parrebbe nel 2008, Raman riallaccia i contatti con quelli del Gcil anche loro per la più parte in giro per il mondo — specie in Iraq e Afghanistan a combattere e addestrare miliziani —  nell’attesa del momento giusto per rientrare e prendere parte alla guerra civile, voluta anche da Francia e Inghilterra, per far fuori il rais. 

Difficile immaginare che i servizi britannici non sapessero dell’uomo. A questo punto viene spontaneo chiedersi se, invece, non fosse stato addirittura utile agli inglesi che volevano rovesciare Gheddafi tanto quanto gli amici francesi. A maggior ragione perché pare che il servizio di controspionaggio britannico avrebbe permesso ad alcuni libici residenti nel Regno Unito — compreso l’attentatore di Manchester — di uscire ed entrare dal Paese senza alcun controllo per unirsi alle rivolte contro il rais, nonostante su alcuni di loro pendessero sospetti su possibili attività terroristiche. 


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In secondo luogo le origini del terrorista dell’Arena aprono uno squarcio sul failed State libico e sui pericoli legati al radicalismo interno, fin qui presi un po’ sottogamba dalla comunità internazionale. Dal 2011 la Libia è un Paese fuori controllo in cui governano bande di miliziani e in cui manca un’autorità centrale e, dunque, un sistema di sicurezza e legalità condiviso. Non è un caso che i familiari di Abedi siano stati arrestati da una milizia e non da un qualche organo di polizia governativa. E’ quasi una regola matematica che uno Stato in preda all’anarchia diventi un habitat naturale per il terrorismo. E così è stato. Oggi la Libia è il santuario di organizzazioni jihadiste, da al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), che spadroneggia nel Fezzan, allo stato islamico i cui affiliati, espunti dalla roccaforte di Sirte a fine 2016, sono fuggiti in parte verso il deserto libico. Un siffatto scenario offre, evidentemente, proposte allettanti per chiunque voglia addestrarsi alla jihad e magari colpire i “crociati europei”.

Infine un’ultima considerazione. Se allarghiamo un po’ lo sguardo anche a Siria e Iraq e, più in generale, al quadrante mediterraneo, noteremo come il terrorismo altro non è che la conseguenza delle scellerate politiche occidentali (perlomeno) degli ultimi 20 anni. Nel 2003 abbiamo buttato via il dittatore Saddam Hussein senza una valida alternativa e senza “un piano per il dopo” e così il paese è caduto in preda all’anarchia. Abbiamo fatto lo stesso errore con la Libia. Come se non bastasse ci ostiniamo ad allearci con paesi (leggasi monarchie del Golfo) e con personaggi (leggasi Erdogan) che più o meno velatamente sostengono o hanno sostenuto il terrorismo in Medio Oriente. 

Non lamentiamoci allora: gli attentati in Europa sono i “danni collaterali” dei mostri, ora fuori controllo, che abbiamo creato noi. 


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