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Home » Lavoro » Sindacati » SINDACATI E POLITICA/ L’occasione che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil rischiano di perdere

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SINDACATI E POLITICA/ L’occasione che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil rischiano di perdere

Giuseppe Sabella
Pubblicato 6 Luglio 2017
Susanna Camusso

Susanna Camusso (Lapresse)

Solo una legge sulla rappresentanza sindacale può riportare la contrattazione nei giusti confini. Lo ha ricordato anche Susanna Camusso al Congresso Cisl, dice GIUSEPPE SABELLA

La rappresentanza dell’industria – parola che dentro la grande trasformazione sempre più sintetizza la corrispondenza che esiste tra impresa e lavoro organizzato – è un mondo complesso, in particolare per la sua eterogeneità espressa da settori, storie e culture diverse. Quando si parla di crisi della rappresentanza – ci riferiamo in questo caso a quella di impresa e lavoro, non politica – si dovrebbero fare tuttavia dei distinguo: il cambiamento che stiamo attraversando coinvolge tutte le imprese e tutti i lavoratori, è chiaro però che ci sono settori che stanno meglio, per esempio quelli che nonostante la crisi hanno conosciuto una buona performance (chimici e alimentaristi), altri che nella difficoltà della congiuntura hanno trovato risposte rilevanti considerato il loro status (metalmeccanici).


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È naturale che il livello confederale sia quello che più fatica a rispondere, perché è quello meno collegato in modo immediato al terreno del lavoro e al quale, cosa non di poco conto, spetta il compito della sintesi, di trovare cioè soluzioni utili per tutti; sintesi che manca dal 2013, anno in cui è scaduto l’ultimo accordo sul modello contrattuale, firmato nel 2009 da Confindustria e dalle sole Cisl e Uil.


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L’accordo del 2009 andava a rafforzare il compito della contrattazione di secondo livello in funzione del plusvalore prodotto nei luoghi di lavoro: in un momento molto complicato per l’economia, Confindustria si decise a puntare in modo forte sul secondo livello, cosa significativa perché la contrattazione aziendale era in parte vista anche dagli Industriali – e non solo dalla Cgil – come qualcosa che andava a indebolire il primo livello di contrattazione. La Cgil non aderì a quell’accordo, ma, a parte la Fiom, tutte le sue categorie firmarono i rinnovi di settore ispirati da quel modello contrattuale. 


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Piccolo particolare: nei contratti non veniva richiamato esplicitamente l’ipca – l’indice dei prezzi al consumo – che regolava le oscillazioni retributive in funzione della dinamica inflattiva. Con gli accordi poi del 2011 e del 2013 che sono seguiti al caso Fiat, tuttavia, la Cgil si allineava a quelle istanze che ispirano la filosofia così tanto cara non solo a Cisl e Uil ma anche a Federmeccanica – vedasi Manifesto per le relazioni industriali – e a Vincenzo Boccia: “la ricchezza si distribuisce quando e laddove prodotta”.

Venendo ai giorni nostri, ora che anche Landini e la Fiom – che così tanto hanno resistito allo spostamento del baricentro contrattuale (questa in sintesi l’origine del caso Fiat) – firmano un contratto che afferma la funzione e il valore del secondo livello, parrebbe che ci siano le condizioni per tirare una riga a livello confederale e arrivare a un modello contrattuale che una volta per tutte in modo unitario sottoscriva i principi del salario aziendale e del rapporto tra i due livelli contrattuali.


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Le resistenze che invece si avvertono fanno pensare che la difficoltà sia sempre quella di fare chiarezza sulle cose, perché qualcuno tira da una parte e qualcuno dall’altra e quindi meglio non scontentare nessuno; ma così facendo, si rinuncia alla propria missione. Nessuno può dire con certezza che le confederazioni vi abbiano rinunciato, ma il loro stallo è così prolungato da sembrare permanente, nonostante la ripresa del confronto proprio su questi punti.

Qualcuno dirà, anche per questo, che le confederazioni non hanno più senso, perché chi contratta – le federazioni di categoria – ha dimostrato di poter fare da solo. Forse sul piano contrattuale è scattata una nuova epoca, ma alle confederazioni spetta comunque un grande compito: quello di influire sul legislatore per la ridefinizione dei criteri di rappresentatività e rappresentanza. Il Testo Unico è in parte inattuato, ma soprattutto resta un’intesa tra le Parti. Serve invece, come abbiamo già scritto, risolvere il problema sorto dopo il caso Fiat della proliferazione progressiva di contratti e rappresentanze fantasma. Solo una legge sulla rappresentanza sindacale può riportare la contrattazione nei giusti confini. Lo ha ricordato anche Susanna Camusso intervenendo la scorsa settimana al Congresso della Cisl. È questo il compito principale che hanno le Confederazioni per il Lavoro4.0, ed è un grande compito.


SINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l'occupazione in Italia


Twitter: @sabella_thinkin

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  • Tags: CgilConfindustria

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