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Home » Lavoro » SPILLO/ Se Confindustria si dimentica una “fetta” di lavoro

  • Lavoro

SPILLO/ Se Confindustria si dimentica una “fetta” di lavoro

Massimo Ferlini
Pubblicato 30 Maggio 2014
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Infophoto

Confindustria ha presentato un documento che cerca di toccare tutti i temi principali del mercato del lavoro, con delle proposte di interventi. Il commento di MASSIMO FERLINI

Con un documento che cerca di toccare tutti i temi principali del mercato del lavoro, Confindustria, che ieri ha tenuto la sua assemblea annuale, ha dato un proprio contributo alla discussione in corso e all’elaborazione del Jobs act dei prossimi mesi. La premessa è attenta ai problemi di fondo del sistema economico nazionale. Occorre rilanciare competitività e investimenti e vanno sostenuti contratti e provvedimenti finalizzati al recupero di produttività. Il costo del lavoro per unità di prodotto del nostro Paese non è competitivo, richiede investimenti, innovazione e diminuzione del costo del lavoro. Per quanto riguarda il mercato del lavoro si sottolinea la segmentazione fra insiders e outsiders che lo caratterizza.


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È per rispondere a questi punti che si propone di innovare profondamente le politiche di sostegno al lavoro visto che le politiche attive sono scarse e incoerenti sul territorio a fronte di politiche passive eccessive ma altrettanto incoerenti e che quindi non assicurano servizi universali per i disoccupati. Il documento avanza proposte su tutti i temi ritenuti rilevanti al fine di ottenere un mercato del lavoro più efficiente. La parte più “nuova” riguarda i servizi al lavoro finalizzati ad assicurare una rete di servizi universali per tutti coloro che cercano una nuova collocazione lavorativa. La proposta ruota attorno alla necessità che il coordinamento delle politiche per il lavoro, l’istruzione e la formazione trovino sul territorio un reale coordinamento e che i fondi per le politiche attive e passive siano gestiti assieme.


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Non si accenna a un’unica Agenzia nazionale per il lavoro, ma si propone esplicitamente un modello di collaborazione fra agenzie pubbliche e private per fornire servizi pagati a risultato e finalizzati alla ricollocazione delle persone disoccupate. Da questo punto di vista la procedura proposta fin dall’avvio della Garanzia giovani, se fosse stata unica sul territorio nazionale, avrebbe permesso di fare decollare servizi al lavoro innovativi e applicabili subito anche ad altre categorie di lavoratori in difficoltà (cassaintegrati e in mobilità).

Due proposte operative riguardano la necessità di rendere cogente la partecipazione alle politiche attive di chi fruisce delle risorse di sostegno al reddito (Cig o Aspi, unici due ammortizzatori che dovrebbero essere offerti con il nuovo sistema a regime) e di indirizzare le risorse dello 0,30% dei fondi interprofessionali per contratti di ricollocazione.


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Dall’insieme delle proposte sul mercato del lavoro esce un quadro certamente nuovo rispetto alle altre piattaforme confindustriali. Pare però fermarsi un po’ prima dei traguardi che la delega governativa indica come obiettivi della riforma. La necessità di arrivare a strumenti universali di sostegno al reddito in fase di disoccupazione in cambio di un percorso di riqualificazione individuale finalizzata a nuove occasioni lavorative richiede più coraggio nell’individuare le risorse disponibili. Oltre al mutamento dei servizi offerti a lavoratori e disoccupati con una rete pubblica e privata che sia orientata e valutata costantemente per poter pagare servizi utili e a risultato.

La riflessione aperta anche sulla necessità di innovare l’ambito della contrattazione, sostenendo un maggior decentramento territoriale e aziendale dei contratti, premiando la produttività, appare come attendere da altri delle proposte per divenire un’ipotesi compiuta. Giustamente il documento richiama la necessità di rivedere i contratti non solo per l’introduzione del contratto a tutele progressive crescenti nel tempo, ma rimodulando tutti i contratti per favorire un sistema di flexicurity.

Ciò però non è estraneo alla volontà di innovare la contrattazione che oggi è ancora bloccata e ruota intorno al contratto nazionale. Dare più flessibilità in entrata e in uscita, se presente un sistema di tutele per tutti, va bene, ma bisogna occuparsi anche di tutti quei contratti di flessibilità che servono ad “aggirare” rigidità di mansionari e corporativismi aziendali che possono trovare nella contrattazione territoriale e aziendale nuove formule di scambio fra flessibilità, tutele e nuovo welfare aziendale e/o territoriale.

La stessa proposta di salario minimo per legge se slegato dalle scelte contrattuali rischia di essere, come il riproporre l’articolo 18, un tema che cerca di nascondere la sostanza. Dove i contratti funzionano il salario minimo esiste già. Il tema riguarda piuttosto una larga parte del lavoro, anche di servizi essenziali alla produzione industriale, dove non vi sono tutele, né contratti, né ammortizzatori. Una proposta complessiva non può dimenticarsi una fetta sempre più importante del lavoro così come è oggi.

Tags: Confindustria

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