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Home » Cronaca » “STRADE PIENE”/ Giornali e politici le stigmatizzano: ma chi le ha consentite?

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“STRADE PIENE”/ Giornali e politici le stigmatizzano: ma chi le ha consentite?

Salvatore Abbruzzese
Pubblicato 15 Dicembre 2020 - Aggiornato alle ore 08:25
Struscio natalizio in via del Corso a Roma (LaPresse)

Struscio natalizio in via del Corso a Roma (LaPresse)

Sui giornali e tra i politici c'è la corsa a stigmatizzare gli assembramenti definiti irresponsabili. Ma chi li ha consentiti? E di chi è l'errore?

C’è qualcosa di profondamente irritante nella reprimenda pubblica a reti unificate contro gli assembramenti davanti alle vetrine dei negozi alla vigilia delle feste. Questo mondo che si affaccia alle vetrine di Via Condotti o di Via della Spiga per contemplare, come nei film di Visconti, “i drappi e gli ori”, i marchi e le stoffe oppure, come è d’uso da almeno cinquant’anni, lasciarsi stupire dagli addobbi e dalle ghirlande con le quali i commercianti impreziosiscono la strada, mentre le amministrazioni locali si occupano delle piazze e dei corsi, non ha nulla di riprovevole.


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Questo mondo, che dalle periferie viene a respirare quel poco di festa che resta, dopo un anno di orrori prima e di indignazione poi, non ha nulla di ridicolo. Questo mondo, che pagherà in prima persona il disastro economico dei vari lockdown, e del quale l’arretramento anche di un solo passo dei livelli di consumo scatenerebbe un effetto a catena che moltiplicherebbe per dieci i frequentanti delle mense dei poveri, questo mondo meriterebbe, al contrario, un po’ più di rispetto.


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Ogni restrizione non dovrebbe mai essere disgiunta dal garbo che va usato per chi lavora, mette al mondo dei figli, si gioca la vita per il loro futuro e mantiene, assieme agli altri, quell’immensa economia della libertà alla quale dobbiamo tutto il benessere che ci circonda e allieta le nostre vite. Quei passanti vanno rispettati ed ogni richiamo dovrebbe prendere sempre la misura di chi ha davanti.

C’è pertanto qualcosa di spocchiosamente insopportabile in queste reprimende da divano, nelle quali non è difficile cogliere il sussiego soddisfatto di chi riesce a sottrarsi al fascino delle vetrine ed al piacere dell’acquisto in quanto non lo vede interessante, né divertente: ha ben altro per essere soddisfatto di sé e della propria esistenza.


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Diciamolo: da anni lo shopping è sotto accusa, i centri commerciali sono giudicati con malcelato disdegno e gli acquisti per le feste siedono da tempo sul banco degli imputati. La reprimenda a reti unificate si inserisce in questa dinamica.

Se cedere al fascino delle vetrine è il segno disdicevole dell’avvenuta caduta nella trappola dei consumi di massa, il farlo in tempo di pandemia è un errore imperdonabile, un atto di sonora inciviltà, un segno di dipendenza e di sottomissione alle divinità del consumismo contemporaneo del quale i malcapitati cittadini sono succubi nella loro manifesta insipienza, doppiata solo dalla loro mancanza di senso civico! Chi vi si reca deve dirlo tra pieghe del discorso, non certo come prima informazione da dare a parenti e amici. Al contrario, chi riesce ad evitare i centri commerciali e le strade affollate può vantarsene apertamente, senza correre il rischio di non riscuotere che segni di esplicita ammirazione. È lui la vera élite civile e morale che deve ergersi ad esempio per il Paese.


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Certamente, la pandemia esiste e gli assembramenti vanno evitati. Possibilmente, visto che ci siamo, andrebbero evitati anche quelli sulle banchine delle metropolitane e sugli autobus carichi di persone che vanno al lavoro e che sarebbero raggianti di poter fare lo smart working se non fosse per il fatto che questo è inutilizzabile quando si aggiustano caldaie, si incollano piastrelle, si puliscono i pavimenti o si assistono gli anziani; ma di questi secondi assembramenti nessuno parla, nonostante siano ben più preoccupanti in quanto ci sono ogni mattina ed ogni sera, non solo nei fine settimana. E questa non è dimenticanza da parte dei media a reti unificate, ma manifesta malafede.


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C’è un’Italia sul divano che parla su tutti e parla per tutti, mentre dovrebbe avere più rispetto per chi non ha che le vetrine del Natale e l’acquisto di qualche maglione e un paio di cravatte, per cercare di recuperare la serenità verso un futuro che il lockdown gli ha tolto.

Dinanzi ad una pandemia che è entrata a devastare le nostre città senza trovare ostacoli, grazie ai centri di ricerca in virologia chiusi, alle strutture sanitarie territoriali smantellate ed i piani pandemici non aggiornati; dopo questa serie di errori senza fine collezionati dalle nostre istituzioni (italiane ed europee), chi va a cercare il Natale o quel poco che ne resta, nella festa gratuita delle vetrine e delle luci che le vie del centro mettono a disposizione è, al contrario, la parte più viva del paese.


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Il desiderio di festa che alberga nel cliente di ogni negozio, non si risolve affatto, come pensava Freud, nella violazione solenne di un divieto e in una notte di eccessi, ma nella gioia di mille incontri ritrovati, di mille legami riannodati, cioè esattamente nell’opposto. Ed è proprio di quell’opposto che abbiamo bisogno, oggi più che in ogni altro Natale.

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