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Home » Lavoro » GLI ERRORI DEI SINDACATI/ E il rischio di rimanere fuori dai giochi coi nuovi lavori

  • Lavoro

GLI ERRORI DEI SINDACATI/ E il rischio di rimanere fuori dai giochi coi nuovi lavori

Giuliano Cazzola
Pubblicato 2 Marzo 2021
Lapresse

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L'Oil ha presentato un rapporto sul sindacato molto interessante, evidenziando anche i rischi che corre con le trasformazioni del mercato del lavoro

L’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) è la più antica istituzione in materia, essendo stata costituita nel 1919 alla fine della Grande Guerra nell’ambito della Società delle Nazioni. Ora è un organismo delle Nazioni Unite: l‘unica agenzia tripartita che riunisce governi, datori di lavoro e lavoratori di  187 Paesi, per fissare standard di lavoro, sviluppare politiche e ideare programmi che promuovano un lavoro dignitoso per tutte le donne e gli uomini. Nel settembre scorso l’Oil ha presentato, a cura di Jelle Visser dell’Università di Amsterdam, un rapporto sul sindacato molto interessante non solo per i suoi contenuti, ma soprattutto perché è difficile trovare analisi dedicate a uno degli strumenti essenziali per la tutela del lavoro e della stessa democrazia. 


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Il rapporto è stato presentato e discusso, nei giorni scorsi, in un webinar promosso dal quotidiano on line Il Diario del Lavoro. “Il calo dell’occupazione nel settore manifatturiero e la nascita di nuove forme di lavoro flessibili e atipiche (non standard) attraverso il subappalto ed esternalizzazione in gran parte del mondo sviluppato, nonché l’espansione dell’economia informale nei paesi in via di sviluppo, hanno provocato – è scritto nell’introduzione – una contrazione dei tassi di sindacalizzazione in quasi tutti i paesi del mondo. La copertura della contrattazione collettiva in molte parti del mondo è pericolosamente bassa e in continuo calo”. Una “nuova instabilità del lavoro” caratterizza i rapporti di lavoro del XXI secolo, “compromettendo i regimi normativi che hanno organizzato e governato i mercati e i rapporti di lavoro per gran parte del XX secolo”. 


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Ciò è dovuto principalmente ai cambiamenti nel commercio internazionale, nei flussi migratori, nella struttura industriale, nel comportamento e nelle politiche delle imprese. In questo contesto, i sindacati devono affrontare due principali sfide: l’avanzata dell’economia digitale e il divario sociale tra i lavoratori stabili e retribuiti da una parte e i disoccupati e i lavoratori instabili, mal pagati e precari dall’altra. L’intelligenza artificiale e la robotica possono creare e allo stesso tempo distruggere posti di lavoro, ma dal punto di vista dei sindacati sono i posti di lavoro sbagliati quelli a essere distrutti. 


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Le attuali statistiche sull’occupazione, che riflettono la prima fase della “rivoluzione digitale”, indicano un calo dei posti di lavoro nelle posizioni intermedie dei settori manifatturieri, nonché dei posti di lavoro qualificati e semi-qualificati nel settore industriale: proprio i posti di lavoro che storicamente i sindacati hanno contribuito a rafforzare e che sono stati la principale roccaforte del loro potere e della loro influenza nella politica e nei rapporti di lavoro. 

Il rapporto, si articola in tre parti. La prima descrive l’attuale “stato dei sindacati”, analizzando l’andamento dell’appartenenza sindacale e dei tassi di sindacalizzazione in relazione ai cambiamenti del settore economico e del mercato del lavoro. L’analisi si concentra tanto sui livelli di adesione sindacale quanto sulla composizione dei sindacati stessi. La seconda parte cerca di valutare l’influenza di vari fattori – alcuni esterni, altri di interni al mondo sindacale stesso – sui tassi di sindacalizzazione: i livelli di reddito e la quota dell’agricoltura o dell’industria; la dimensione dell’economia informale; la diversità etnica e i conflitti; le violazioni dei diritti dei lavoratori; le istituzioni della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali e la frammentarietà dei sindacati. La terza parte si conclude con l’analisi dei quattro seguenti scenari per il futuro dei sindacati.


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1) Emarginazione: proseguendo con i trend attuali, caratterizzati da un calo della partecipazione sindacale e dal declino del potere e dell’influenza dei sindacati nei mercati del lavoro emergenti, si andrà incontro a una graduale emarginazione dei sindacati stessi. Questo può essere interpretato come il risultato di un processo di liberalizzazione dei movimenti e di svincolo del capitale dalla sua dipendenza dal lavoro, dagli Stati nazionali e dagli obblighi internazionali.

2) Dualizzazione: invece di deteriorarsi lentamente, i sindacati difenderanno le loro posizioni e resisteranno negli ambiti in cui sono attualmente maggiormente radicati (nelle grandi imprese, tra i lavoratori qualificati e gli operai del settore industriale e della logistica, tra i professionisti del settore pubblico e dei servizi sociali). Considerata la crescente instabilità del lavoro, ciò porterà a un divario sempre più netto tra le imprese sindacalizzate e quelle non sindacalizzate, dove le seconde prevarranno sulle prime.


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3) Sostituzione: i sindacati lasceranno gradualmente il posto ad altre forme di azione e di rappresentanza sociale previste dalla legge (garanzie sui salari minimi, commissioni salariali, comitati aziendali, comitati di produttività, organi arbitrali e di revisione), promosse dai datori di lavoro (coinvolgimento dei lavoratori, codici etici, modelli di partecipazione e di condivisione) da parte di intermediari (studi legali, agenzie di intermediazione del lavoro, uffici di consulenza) e nate da forme più o meno volontarie e sistematiche di azione sociale.

4) Rivitalizzazione: i sindacati troveranno un modo per rinnovare le pratiche sindacali, invertire l’attuale tendenza, reinventarsi, estendere il loro ambito d’azione e garantire protezione e rappresentanza alla “nuova forza lavoro instabile” dell’economia digitale.


AMAZON USA, NO AL SINDACATO/ La sfida della rappresentanza nel capitalismo Big Tech


Ovviamente, non siamo in presenza di scenari distinti e compiuti, uniformi in tutti i Paesi sviluppati. Vi sono già in partenza delle profonde differenze per quanto riguarda i tassi di sindacalizzazione e i livelli di copertura contrattuale. Anche gli sviluppi possono intersecarsi persino nelle realtà specifiche di ciascun Paese. Soprattutto per quanto riguarda, a mio avviso, gli scenari 2) e 3). Quelle che il rapporto definisce “altre forme di azione e di rappresentanza sociale” non sono affatto incompatibili con il ruolo di un sindacato che accetti di articolare meglio la propria funzione di tutela e di presenza nel mondo del lavoro e nella società. Anzi, l’aprirsi ad “altre forme di azione e di rappresentanza” è sicuramente una terapia utile a evitare la marginalizzazione. 

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