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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Ennodio, l’avventura letteraria di un vescovo pensando a Giona ed Enea

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ Ennodio, l’avventura letteraria di un vescovo pensando a Giona ed Enea

Silvia Stucchi
Pubblicato 7 Aprile 2021
(LaPresse)

(LaPresse)

Vescovo ma anche poeta, <span class="s1">Magno Felice Ennodio seppe traghettare la classicità di epoca pagana nel cristianesimo nascente. Come avviene nel carme "La piena del Po"</span>

L’edizione curata da Fabio Gasti, della Piena del Po (carm. 1, 5 H.) di Magno Felice Ennodio (La Vita Felice, 2020), è un piccolo, prezioso volume che presenta la traduzione commentata del carme, intitolato dall’autore Itinerarium Padi e che si concentra sull’attraversamento del fiume, intrapreso dall’autore a scopo di carità cristiana, per andare a consolare una germana che ha subito una prova dolorosa.  


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Ennodio, che il curatore definisce “un diplomatico prestato alla Chiesa”, vescovo di Pavia dal 514 sino alla morte, che lo colse il 17 luglio 521, dovette scrivere questo poemetto di 52 versi attorno al 511. Egli è un letterato con il culto dello stile, e rientra a pieno diritto in quella che Michael Roberts, nel 1989, definì, con bella metafora, la tendenza a ricorrere a uno “stile ingioiellato”; ovvero a una scrittura poetica – ma anche prosastica – caratterizzata da una profonda cura estetica; si può anzi dire che Ennodio sviluppò e portò agli estremi il cosiddetto “preziosismo gallico”, di cui già Sisdonio Apollinare aveva dato grande attestazione.  


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Il nostro autore è uno scrittore molto prolifico e molto versatile, anche se la sua produzione letteraria risulta tutta concentrata in un arco temporale relativamente breve, dal 501 alla sua elezione a vescovo nel 514; un aspetto tipico della sua produzione, che è poi tipico, precisa Gasti, di tutta la letteratura del VI secolo, è la volontà di riedizione dei modelli, dai classici agli scrittori dei secoli immediatamente precedenti. Nelle opere di Ennodio, quindi, si ritrovano echi e allusioni agli auctores che costituivano il nerbo della tradizione scolastica pagana, e su cui era ancora imperniata l’educazione scolastica e la formazione dei giovani; Ennodio cerca continuamente di attualizzare quei modelli, facendo della variatio, la capacità di variarli e modificarli in parte (pur lasciandoli sempre riconoscibili all’occhio del lettore colto e attento), un tratto consapevole della sua poetica.  


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La produzione ennodiana comprende nove libri di lettere, due libri di carmina, dieci opuscula in prosa, e ventotto dictiones, ossia esposizioni su un dato tema; di fatto, esercitazioni di stampo scolastico. L’Itinerarium Padi, o più semplicmente Itinerarium (carm. 1,5 = 423 VA.) ovvero La piena del Po, qui tradotto e commentato, è uno dei tre “cosiddetti carmi odeporici”  di Ennodio, ovvero, uno dei tre carmi che trattano il tema del viaggio, insieme al carm. 1,1 =245 V. (Itinerarium Brigantionis castelli) e 1, 6 = 2V. (Dictio Ennodii diaconi quando de Roma redit). In tutti e tre i carmi il poeta riflette a partire dalla descrizione delle condizioni e degli effetti di viaggi difficili e pericolosi; il viaggio diventa occasione per offrire una prova di stile virtuostistico, accompagnata e suggellata, però, da un intento di ammaestramento morale.

Se però nell’Itinerarium Brigantionis castelli si racconta un viaggio diplomatico alla volta di Briançon, ai piedi del versante francese del Monginevro, e se la Dictio che narra il ritorno da Roma a Milano è, appunto, una dictio, ovvero non un semplice componimento poetico ma un’opera che allude a una circostanza pubblica, magari celebrativa del ritorno, l’Itinerarium Padi non racconta tanto un viaggio, ma si concentra su un momento preciso del percorso, ovvero sul passaggio delle acque fluviali. L’attraversamento del Po è preceduto da una sequenza descrittiva dell’esondazione ed è seguito dalla descrizione della ripresa della piena e dell’inondazione. E se le virtù cristiane della miseratio e della pietas hanno la meglio sulla violenza e l’opposizione degli elementi naturali, il poeta si dimostra anche un attento osservatore, colpito dallo scenario naturale in cui si trova e dai fenomeni naturali cui assiste. In proposito, Gasti chiama in causa nell’Introduzione un breve testo in distici elegiaci (carm. 2,134) avente come soggetto la piena del Po, descritta in modo che ricorda da vicino l’Itinerarium, e tuttavia senza alcuna implicazione etico-religiosa, e senza il particolare della caduta del poeta nelle acque (nell’Itinerarium, vv. 41-46). Certo, la piena, nelle due sequenze della esondazione (primo segmento) e della inondazione (secondo segmento), è un soggetto che Ennodio tratta con la precisa ed esibita volontà di stupire e sorprendere il lettore: si tratta quindi, chiaramente, di due pezzi di bravura (memorabile l’immagine dei pesci che si trovano a mensa, per una volta come convitati e non come pietanze, nelle case allagate).  

Ennodio, sottolinea il curatore, osserva il fenomeno naturale essenzialmente con occhio di poeta, animato dall’intento di scrivere un’opera di alta letteratura; ma è anche un autore cristiano, e la sua opera va compresa come tipico prodotto di un’epoca che non poteva rinunciare all’eredità culturale pagana, ma nemmeno essere, per ovvi motivi, scevra da suggestioni cristiane. Infatti, in una sua lettera a Olibrio (ep. 1, 9, 4), Ennodio si dice consapevole che la poetica cristiana può spingersi sino a rivendicare un novellus usus dei maiorum exempla, di quei tesori ereditati dalla grande tradizione letteraria pagana, ma arriva anche ad affermare che “è opportuno valorizzare le risorse letterarie (lectionis opes) allo scopo di incrementare la tradizione letteraria” (Latiaris vena)”: in altre parole, i classici del passato sono una scuola di stile sempre valida, cui è impossibile rinunciare. Molto interessante è che fra gli autori della tradizione Ennodio sia particolarmente sensibile alla lezione stilistica di Virgilio, definito doctorum radix, ovvero “radice dei dotti” (ep. 1, 18, 3): nell’Itinerarium Padi, in particolare, si concentrano alcune riprese dal VI libro dell’Eneide, dedicato alla descensio ad Inferos di Enea; e non si tratta solo di richiami testuali più o meno precisi, ma troviamo anche un generale richiamo al contesto e alla cornice del viaggio, poiché la pietas di Ennodio, che lo spinge a intraprendere il viaggio nonostante i pericoli che dovrà affrontare, non può non ricordare, “pur nella diversità di valori implicati” quella di Enea, l’eroe pius per eccellenza, che varca lo Stige per rivedere il padre. Non mancherebbe nemmeno la presenza di suggestioni letterarie più propriamente cristiane, come è stato notato da E. Perini in anni recenti (2011), in particolare dalla vicenda del profeta Giona e del suo viaggio in mare, durante il quale una tempesta lo fa cadere in acqua, dove verrà inghiottito da un grosso pesce, che lo vomita, dopo tre giorni, sulla riva: il verbo evomuit, realistico ed espressivo, si ritrova nell’Itinerarium. 

In altre parole, si può dire che il carme è un perfetto documento di come Ennodio interpreti la propria vocazione letteraria: essa è ancilla di quella religiosa; e l’autore lo ribadisce con lo strumento che da letterato maneggia con perfetta maestria, ovvero con una scrittura basata su precise, raffinate, scelte estetiche, sempre volta però a richiamare, con allusioni e richiami intertestuali, argomenti impegnativi, quelli che ci aspetteremmo da un uomo di Chiesa.

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